Quaranta volumi ritrovati in un'aiuola «Non li regalo, meglio vederli ingiallire»
Tra le notizie purtroppo non positive che aleggiano intorno al teatro San Ferdinando e che riguardano lo stato di degrado cui è giunta la zona circostante e che minaccia perfino il palcoscenico, tra queste notizie ce n'è una che non può non far sobbalzare. Risulta, dunque, che in un cumulo di rifiuti siano state trovate decine di libri appartenenti alla biblioteca del teatro. Un eufemismo, sembrerebbe, per dire che si tratta di libri (per lo più raccolte di commedie) di cui era autore proprio lui, Eduardo De Filippo, proprietario e rifondatore del San Ferdinando. Allineate su alcune scaffalature, di quei libri ce n'erano almeno una dozzina per ogni esemplare, nell'ufficio del «direttore»: parlo da testimone. E da testimone posso riferire che Eduardo, paventando richieste sgradite, non perdeva mai l'occasione per dire: «Non mi va di regalarli. Lo tengo per malo augurio. Meglio vederli ingiallire qua, i miei libri, piuttosto che regalarli». Il desiderio di Eduardo è stato appagato, ma assume quasi l'aspetto di un paradigma, di un simbolo anzi; e non sappiamo ancora di che cosa.
Così, del resto, venne interpretata, dai napoletani usciti dalla seconda guerra mondiale, la rinascita di quel teatro. Il San Ferdinando era stato ridotto, nel 1943, da un bombardamento angloamericano, a un mucchio di macerie. Eduardo, cioè un privato, aveva acquistato quelle pietre e, investendo i risparmi di un'intera vita di successi aveva fatto rinascere un teatro, più bello, mille volte più bello di come era prima. Sì, proprio un simbolo, e insieme un augurio per una città che andava ricucendosi le terribili ferite inferte dalla guerra. Il 21 gennaio 1954, con la commedia «Palummella zompa e vola» di Antonio Petito, il nuovo San Ferdinando venne gioiosamente inaugurato. Fu Eduardo stesso, attorniato dall'intera compagnia, a voler indossare la maschera di Pulcinella. Mai prima d'allora il grande attore-commediografo aveva preso una simile iniziativa, e anche questa parve un simbolo.
Il San Ferdinando, bisogna tener presente, era considerato il teatro della gente comune, anzi di quello che allora veniva definito «popolino» e che costituiva il nerbo del borgo Sant'Antonio Abate. Costruito sul finire del Settecento e inaugurato con un'opera di Domenico Cimarosa, il San Ferdinando visse stentatamente fino al 1886, fino a quando, cioè, le sue tavole non furono calcate da Federico Stella, un attore dalla vena popolaresca. Riduttore, con Eduardo Minichini, di molti libri di Francesco Mastriani, interprete di drammoni come «La fondazione della camorra» e «Le caverne delle Fontanelle», Federico Stella puntava su un tipo di teatro che potrebbe esser considerato parallelo al romanzo d'appendice. Scene truculente, colpi di scena derivanti da improvvise scoperte di parentele, grovigli di maternità, lotte con i padroni di casa, erano il condimento delle commedie interpretate da Federico Stella. Il quale continuò a esibirsi al San Ferdinando fino al 1926, ormai ottantaquattrenne. Chi lo sostituì non riuscì certo a superarlo, almeno in popolarità.
Nel secondo dopoguerra, il fatto che Eduardo, volendo costruire un «suo» teatro, avesse scelto proprio l'area in cui sorgeva il vecchio San Ferdinando, vale a dire un luogo abitato da gente modesta, quale era appunto il Borgo Sant'Antonio Abate, parve un segnale, e come tale fu lodato e apprezzato. Vi agiva, peraltro, una compagnia denominata «la scarpettiana», volta a chi voleva ridere e basta.
Eduardo, nel 1974, dovette impiantarsi un pace-maker ma fu proprio al San Ferdinando che riprese a lavorare: Fin dalle cinque del mattino, decine e decine di napoletani si mettevano in coda per acquistare i biglietti. Lui ne capiva il vero motivo, e sorrideva. «Lo tengo per buon augurio», diceva. E visse fino all'età di ottantaquattro anni. Anni dopo, il maggio 1996, il comune di Napoli, sindaco Antonio Sassolino, accettò in dono dagli eredi di Eduardo, a condizioni però che non furono da tutti condivise, il teatro San Ferdinando. Ma adesso non c'è da stare a cavillare. Adesso non c'è altro da fare che difenderlo, questo teatro. Simbolo di una Napoli da tenere per buon augurio.