Raid a Scampia incendiato il parco giochi
Due castelli di legno, quattro scivoli e vari percorsi ludici devastati nel raid di una notte. Chiaro il messaggio: «Qui comandiamo noi». E la logica del mini-clan. La colonna di fumo l'hanno vista da lontano. A dare l'allarme è stato il guardiano del cantiere che sta dirimpetto alla villa. Si sono intrufolati all'interno del parco di viale della Resistenza col favore del buio e hanno messo letteralmente a ferro e fuoco le giostrine. I componenti della baby gang hanno prima distrutto i grossi tubi, utilizzati dai bimbi come scivoli coperti, poi hanno smantellato il ponte ligneo bruciandolo in un falò. Quei bimbi che già di rado frequentano il posto perché le mamme non si sentono protette. Da settimane, ormai, all'abituale abbandono si è aggiunto lo sfregio dell'ultima scorribanda. Tredici i custodi che vigilano a turno l'oasi verde, dalle 7 di mattina alle 9 di sera. «Ma non riusciamo a garantire la sicurezza come si dovrebbe - dice uno di loro - Di notte, poi, qui è terra di nessuno». Tra i viali, nascosti all'ombra dei pergolati, sbandati sonnecchiano sulle panchine, mentre ragazzini in sella a scooter, senza casco e superando chissà quale varco, scorrazzano ai bordi del camminamento laterale. Potrebbero mettere in pericolo i frequentatori della collina che, per tale motivo, se ne tengono alla larga. Perché anche tra le grosse palme della più grande villa urbana del Mezzogiorno ha messo radice l'idea che i luoghi si conquistano, si invadono, si assoggettano. Perché a Scampia non è solo il business della droga a far danni, ma soprattutto la lezione di strada di chi ci vive e imita la prepotenza dei grandi. Loro, i piccoli, ma solo anagraficamente, si contendono il quartiere. A colpi di raid e piccoli furti. Tutti ai danni del bene comune, di uno Stato sentito «altro». Le forze dell'ordine contrastano, arginano il fenomeno. I circoli ambientalisti del quartiere hanno spesso offerto la loro disponibilità perla creazione nel parco di un laboratorio di educazione ambientale permanente, inserendolo in un progetto che tenesse conto di tutto il verde dell'area a nord di Napoli. Dal Vallone San Rocco, al Bosco di Capodimonte, fino ai Camaldoli. Richieste, inviti ed appelli finora rimasti inascoltati. «Non si vede anima viva - denuncia Lucio Acciavatti, esponente del locale parlamentino -. I cittadini si sentono insicuri e come dargli torto. Qualche anno fa l'iniziativa dei due poliziotti a cavallo in giro all'interno della villa, per due ore al giorno, incoraggiò 1 residenti a usufruire dell'area verde. Ma è rimasta solo una bella esperienza e niente più. Per animare lo spazio occorre innanzitutto difenderlo. Da qui la necessità di una programmazione ordinaria con giochi e manifestazioni che, coinvolgendo scuole e associazioni, possa renderlo momento e luogo di aggregazione dell'intera comunità». Circa 260mi1a metri quadrati di estensione, da iniziale ritrovo dei tossici che popolavano la vicina e riqualificata piazza Giovanni Paolo II a terra di baby gang. Adesso all'esterno della villa un cartello avvisa i visitatori che «è vietato usufruire del parco giochi». Così come non si può usufruire del porticato e del laghetto artificiale rimasto asciutto dopo la rottura della pompa dell'acqua. «Nessuno è più venuto ad aggiustarla - spiega uno degli addetti alla sorveglianza -. E così succederà pure con le giostrine. Abbiamo segnalato, tra l'altro, la presenza del materiale distrutto, ma essendo rifiuto speciale non ci si mette d'accordo su chi debba venire a prelevarlo. Più che un'oasi, questo è un deserto in mann ai predoni»