Sfregio alla memoria tra panni stesi e garage condonati
Gli storici sono concordi da tempo: i sessant’anni in cui la casa d’Aragona regnò a Napoli furono il periodo aureo della città. Fu il vero Rinascimento, non solo napoletano, che per molti non ha niente da invidiare a quello fiorentino. Ora i fasti di quegli anni sono negletti e nascosti, coperti dalle memorie e dagli edifici del secoli successivi. Andare a scovarne le tracce è quasi una caccia al tesoro. Ma c’è un luogo, o meglio una vasta zona della città, dove questi relitti aragonesi sono come la lettera rubata di Edgar Allan Poe: sono così in bella mostra che nessuno li vede. E non parliamo, ovviamente dei Bastioni del Carmine, di Porta Capuana e della stessa Porta Nolana, ma delle numerose torri che costellano vicoli, strade e piazze che da via Marina arrivano, nascondendosi e svelandosi, fino a via Foria, mostrando la sua trasformazione più plateale nella Caserma Garibaldi. È una Napoli medievale che lo straripante barocco ha sommerso, ma non completamente affogato. E che vuole riemergere, stimolando, va sans dire, nuove curiosità e flussi turistici. Ma che i napoletani per primi dovrebbero scoprire. Anzi vedere, perché sono tesori da scartocciare. A via Cesare Rosaroll, per esempio. In questa fettuccia di strada, perennemente afflitta da auto in sosta plurima, piena di bassi e uffici, di negozi e, di recente, di migranti, sulla sinistra, risalendola verso Foria, è un susseguirsi di schegge aragonesi che la secolare vita formicolante dei napoletani ha riutilizzato, usandole e abusandone. Ora qualche segnale di inversione di rotta c’è. La Municipalità ha recuperato gli spazi accanto a Porta Capuana, tirando fuori le antiche pietre della torre Sant’Anna, riaprendo anche il varco che porta a via Rosaroll, riconsegnando allo sguardo del passante uno scorcio perduto da secoli. «È il primo passo» spiega David Lebro, presidente della Municipalità. «Il progetto è proprio quello di far rivivere la Napoli medievale e restituire all’area di San Giovanni a Carbonara il suo ruolo di ingresso nella città, farne l’altro polo di attrazione, come piazza del Gesù Nuovo». E San Giovanni a Carbonara con i suoi splendori durazzeschi (il mausoleo di Ladislao e quello di Sergianni Caracciolo) ne ha tutti i requisiti. Le mura aragonesi furono un’opera militare imponente, essenzialmente difensiva, ma con il tempo non hanno saputo difendere sé stesse. Così la torre Sant’Anna mostra solo una parte della sua forza. Tutt’attorno costruzioni che i secoli hanno condonato. Per accedervi bisogna addirittura passare attraverso un garage privato, uscire da una porticina e percorrere il tracciato delle mura. Dove passava la ronda militare, ora gocciola l’acqua dei panni stesi, cresce una boscaglia selvatica, si annidano zoccole pasciute di rifiuti. Non sta meglio l’altra torre di via Santa Caterina a Formiello. La base è stata squadrata dalla superfetazione dei bassi abitati da immigrati che pagano a caro prezzo buchi che i napoletani hanno abbandonato. Sopra svetta ciò che resta di una costruzione probabilmente ottocentesca, con una leziosa ringhiera che conserva la propria dignità sotto la ruggine. È andata peggio, finora, alla torre San Michele, all’angolo di salita Pontenuovo, accanto alla chiesa di Sant’Anna e San Gioacchino. Sul tetto ci sono i resti di una costruzione recente, una sorta di ospizio. Raccontano nella zona che una quindicina d’anni fa crollò e così è rimasta. «Sulla messa in sicurezza della torre San Michele» spiega l’assessore comunale Diego Guida «abbiamo appena stanziato 400mila euro di fondi comunali». Da lavorare ci sarà tanto. Attorno alle nere pietre vulcaniche che si innalzano tra le mura dei palazzi ottocenteschi, si sono sviluppate officine meccaniche. Più avanti un tratto delle mura è all’interno di un fabbrichetta di marmi. Proprio nei spazi della chiesa dovrebbe, poi, essere collocato l’archivio urbanistico digitalizzato. «È un altro progetto comunale» aggiunge Guida «per il quale dovrà arrivare un finanziamento europeo di 500mila euro. Si potrà navigare in un materiale molto vasto che va dal Settecento agli anni Sessanta del Novecento, in pieno laurismo, mentre gli originali saranno consultabili nell’archivio di salita Pontecorvo». Il muro della memoria per salvare le memorie delle mura.