Ponticelli, ancora roghi nei campi sgomberati
Asserragliati nei due campi di via Argine i cento rom che ancora vivono tra la spazzatura della zona orientale sono sorvegliati notte e giorno dalle forze dell’ordine. Ma il pattugliamento imponente di camionette e uomini in divisa che tiene sotto controllo Ponticelli e dintorni non riesce a impedire l’ennesimo sfregio: poco prima delle 14 qualcuno lancia una molotov nel campo di via Malibran, ormai da ore fortunatamente deserto. E ancora una volta la tragedia è evitata solo per un colpo di fortuna. Qualche ore dopo le fiamme si sprigionano al parco De Filippo, ma non sembra che si tratti di un’azione intimidatoria nei confronti dei rumeni. Del resto la gente di Ponticelli lo aveva detto chiaro: «non ci fermeremo finché non sarà andato via anche l’ultimo rom». E così minaccia ancora di fare. Ai vigili del fuoco che tentano di spegnere l’ennesimo rogo, le donne, che alla vista delle fiamme erano scoppiate in un applauso, gridano: «Voi spegnete le fiamme e noi torneremo a incendiare altre cento volte». E quelli che ancora manifestano davanti ai campi di via Argine ripetono: «Li abbiamo sopportati per troppo tempo, adesso se ne devono andare». Devono andarsene, ma dove? Nella notte tra martedì e mercoledì una quarantina di persone sono state trasferite dal Comune nella ex scuola Deledda, diventata centro di accoglienza nell’ultima emergenza, una cinquanta sono state trasferite nel campo di via del riposo, altri hanno scelto di rifugiarsi da parenti e amici campi intorno a Napoli, soprattutto nella zona di Casoria. L’ultimo gruppo resta a via Argine nei due campi superstiti. Vivono in una discarica a cielo aperto e hanno chiuso con catenacci improvvisati le porte create con reti di materassi e lamine di ferro. «Noi non vogliamo tornare in Romania - dice Marian, uno dei capifamiglia - qui da più di un anno vivono quindici famiglie. La Caritas ci aiuta, portiamo i bambini a scuola, oggi non ci sono andati per paura. Fino a martedì non avevamo avuto nessun problema con gli italiani, ora è cambiato tutto. Stiamo aspettando che le autorità ci facciano sapere se è possibile trasferirci in un altro campo vicino a Napoli». A pochi metri, sempre in via Argine, sotto al cavalcavia del raccordo autostradale c’è un altro campo. Anche qui le famiglie vivono tra l’immondizia, non ci sono servizi igienici, gli uomini hanno trasformato i giardinetti di fronte in una enorme latrina. Una situazione disperata. Quelli del campo vivono comprando, o rubando, ferro e rame e vendendolo alle piccole imprese della zona. Costantin ha moglie e quattro figli, come tutti gli altri sta cercando un posto dove trasferirsi. «Qua nonostante tutto stavamo bene, prendiamo l’acqua dal cimitero, mandiamo i bambini a scuola. Ma ora sappiamo che è necessario trasferirsi. Dove? Ancora non lo sappiamo». Nel campo di via Malibran le fiamme hanno divorato rifiuti e baracche in egual misura. Due donne, italiane, sono arrivate con un carrozzino e cercano di rovistano tra le masserizie abbandonate dai romeni. Arrivano i carabinieri e le cacciano. Tra la spazzatura spuntano mestoli, pentole, vecchi materasssi. Riluce la lama di un lungo coltello. Sulla porta di una baracca sono state abbandonate le pentole con la cena già cotta. Stessa scena poco più avanti, in via Dorando Petri. Anche qui tra i tizzoni dell’incendio recente si vede di tutto. Intorno centinaia e centinaia di ruote accatastate, e fili e fili di rame, e lastre di ferro lasciate ad arroventarsi al sole. In quest’inferno arrivano Alex e Paolo, sono romeni, ma li accompagna un italiano. Sono arrivati a prendere vestiti e coperte abbandonate nella fuga. Rovistano tra le lamiere delle baracche e spiegano: «Ci siamo trasferiti a Casoria dove abbiano dei parenti. Ieri sera abbiamo visto degli uomini a volto scoperto che arrivavano e lanciavano le bottiglie incendiarie. Abbiamo avuto paura, abbiamo cercato di spegnere il fuoco. Poi sono arrivati i vigili e ci hanno aiutato. Ora abbiamo perso anche quel poco che avevamo».