Ore 17.58, fuoco nel campo
16 maggio 2008 - Antonio Corbo
Fonte: Repubblica Napoli
Ore 17.58 in via Malibran. È il minuto di fuoco che riaccende la paura. Tre ragazzi, quei tre che la polizia ha visto fuggire in questi viali grigi e squadrati di Napoli Est. Viali senza un fiore. Tre ragazzi hanno appena versato benzina davanti al recinto di un campo Rom, uno dei tre ha lanciato un accendino sull´erbaccia umida. Gli uomini sono usciti dalle baracche di legno e cartone, chi correva a spegnere la fiamma, chi andava alla fontana per portare altri secchi d´acqua, «siamo fortunati noi, abbiamo la fontana proprio vicina», dirà Petre Roboloc, capo a soli 28 anni, giovane ma tarchiato, più muscoli che altezza, un macigno che come l´acqua dà sicurezza alla sua tribù. Un capo che sa essere cattivo e gentile, occhi di carbone, alle sue donne piace il tatuaggio alle braccia, tre rose rosse ma con tre steli di spine.
Tutto in un minuto, entrano nel campo Rom la "Ponticelli 21", una logora 146 scura e la "Poggioreale 15", due auto civetta, poliziotti esperti, modi spicci. Hanno da poco interrotto un summit di malavita all´angolo del bar in via Fratelli Grimm, una strada che fa pensare alle fiabe e che ieri riuniva affiliati dei clan di Volla e Ponticelli, i Veneruso e i Sarno. Ma poliziotti sensibili quando parlano con Petre, gli ispettori Vittorio Porcini e Gennaro Gerbasio si fanno promettere che «nessuno risponderà con la guerra alla guerra, hai capito Petre?» e Petre che aspetta per stasera le telecamere de "La vita in diretta" lo giura. «Ho i vostri numeri, mi fido di voi, vi chiamo subito». E riprende l´intervista, il fuoco è spento, la paura è passata.
«Siamo tutti di Calarasi, Romania. Non è vero che non lavoriamo. Per venti euro al giorno lavoro quattro ore in una fabbrica di pomodori di Nocera, faccio pulizia, non sono qualificato, ho solo queste braccia...».
Lavora in nero, ovvio. Non conferma che gli altri, tutte le donne che ascoltano mute, vestite di nero, vivano di elemosina. «Di voi giornalisti non mi fido. È venuto uno come te, ha portato le caramelle ai bambini, io ho parlato, ha scritto invece che picchio i bambini, che sono violento, e altro...Tu sei così?»
Ma quella ragazza che ha tentato di rapire una bambina di sei mesi, perché l´ha fatto? Chi c´è dietro? Magari la tratta dei bambini, un traffico di organi, cos´altro? Petre mostra la mano. «Vedi queste dita. Non sono tutte uguali. Anche noi siamo tutti diversi. Zingari criminali come scrivete voi, zingari buoni come sono io, e te lo giuro che siamo buoni, domanda lì». Indica la chiesa dei santi Pietro e Paolo, il parroco li ha adottati. «Ci ha detto che possiamo stare qui, ci aiuta, anche la Caritas porta il mangiare, buona gente in Italia, buoni preti in Italia, io non so chi è questa ragazza che cercate».
La ragazza è in un centro di accoglienza. L´ha arrestata l´altro giorno il vicequestore Bianca Lassandro, dirige Poggioreale, ma ha lasciato un grande ricordo alla Mobile, si occupava di rapine ma anche di minori. Con il suo collega, Luciano Nigro, ha intuito i pericoli, e i due commissariati proteggono i campi nomadi di Napoli Est. Dove però nessuno conosce la ragazza arrestata. Nessuno ci si mette. Neanche i genitori, in queste ore sarebbero pronti a disconoscerla. Sono terrorizzati. Temono rappresaglie. «Giuro che non so niente di lei», ripete Petre, battendo la mano destra sul cuore. Sottovoce escludono che vi siano organizzazioni, forse per abbassare il profilo di allarme e le reazioni. Fanno capire che la ragazza è entrata in casa per rubare, ha poi deciso nella sua ottusa disumanità di portare via la bimba, come un arnese di lavoro, fingere che fosse sua figlia e fare la questua, che follia. Proprio la Mobile, anni fa, arrestò due false madri di bambini ridotti in schiavitù e costretti a chiedere l´elemosina. Piangevano, «mamma, mamma». Erano straziati i poliziotti e la Lassandro. Ma i bambini urlarono di gioia mentre uscivano dalla questura, avevano visto finalmente i loro veri genitori. Li aspettavano in strada. «Zingari che avevano affittato i figli ad altri zingari», che mondo.
L´Opera Nomadi ha una ventina di operatori. Enzo Esposito dà assistenza sociale e legale. «Quelli della terza generazione sono ormai italiani, ma non riconosciuti. Al contrario di altri paesi, qui è italiano non chi nasce in Italia, ma chi nasce da italiani. Sono Rom che hanno origini lontane nell´ex Jugoslavia. Il Comune dovrebbe darci un centro di accoglienza e di smistamento, vivono male i Rom». Un centro è a Soccavo, per 400. Le baraccopoli a Napoli Est. In via del Riposo i più fortunati, sembra un paradosso. Raccontano. «Vivono accanto al cimitero, hanno quindi l´acqua e la corrente, rubano rame e ferro, anche fiori». Nel campo Rom di via Malibran c´è un cumulo di copertoni di camion. Li bruciano per tirare fuori i fili metallici. Il rame. Dormono tra fumi di diossina. «Vivere da nomade vuol dire vivere con l´acqua della fontana più vicina, infilarsi tra erbacce e rovi del prato incolto perché è quella la loro toilette, rubare corrente, aspettare elemosine, i piatti della Caritas o dei preti. Petre, ma che vita è? Se ne rende conto, allarga le braccia con le rose e le spinte incise: «Qui alcuni nostri ragazzi vanno a scuola, gli altri ragazzi non vengono a farci i dispetti, abbiamo capito che la scuola ci fa diventare amici degli italiani piano piano, ma questa ha preso la bambina ed ora è tutto più difficile», ammette Petre. Il timore di rappresaglie si è diffuso in tutte le baracche.
In via Mario Palermo, poco distante da via Malibran, hanno incendiato una motoape, i carrettini a tre ruore senza targa. C´erano due nomadi e li hanno costretti a fuggire. Portavano brande di ferro, portafiori di cimiteri. Tutto bruciato, rimane la sagoma incenerita del mezzo, davanti alle mura con scritte del club di tifosi del Napoli Calcio. Rilette adesso, sembrano inquietanti. "Tremate, stiamo arrivando". Oppure: "Fuego caliente". Una immagine dipinta di Maradona, mai così truce, ricorda Gengis Khan, con una frase che la mitiga: «Chi ama non dimentica». Tra il quartiere e i nomadi non c´è mai stato amore, però. Si sopportavano.
«Il rapimento della bambina può scatenare gli esaltati, ora ogni gesto può sembrare giustificato, bisogna stare attenti». "Ponticelli 21" e "Poggioreale 15" riprendono la strada. È una notte diversa. Carica di paura per i duemila Rom di Napoli. Petre dà coraggio alla sua tribù, «la polizia ci protegge, è lì c´è la chiesa che ci aiuta sempre», dice ai suoi. Ma non chiuderà occhio.
«Siamo tutti di Calarasi, Romania. Non è vero che non lavoriamo. Per venti euro al giorno lavoro quattro ore in una fabbrica di pomodori di Nocera, faccio pulizia, non sono qualificato, ho solo queste braccia...».
Lavora in nero, ovvio. Non conferma che gli altri, tutte le donne che ascoltano mute, vestite di nero, vivano di elemosina. «Di voi giornalisti non mi fido. È venuto uno come te, ha portato le caramelle ai bambini, io ho parlato, ha scritto invece che picchio i bambini, che sono violento, e altro...Tu sei così?»
Ma quella ragazza che ha tentato di rapire una bambina di sei mesi, perché l´ha fatto? Chi c´è dietro? Magari la tratta dei bambini, un traffico di organi, cos´altro? Petre mostra la mano. «Vedi queste dita. Non sono tutte uguali. Anche noi siamo tutti diversi. Zingari criminali come scrivete voi, zingari buoni come sono io, e te lo giuro che siamo buoni, domanda lì». Indica la chiesa dei santi Pietro e Paolo, il parroco li ha adottati. «Ci ha detto che possiamo stare qui, ci aiuta, anche la Caritas porta il mangiare, buona gente in Italia, buoni preti in Italia, io non so chi è questa ragazza che cercate».
La ragazza è in un centro di accoglienza. L´ha arrestata l´altro giorno il vicequestore Bianca Lassandro, dirige Poggioreale, ma ha lasciato un grande ricordo alla Mobile, si occupava di rapine ma anche di minori. Con il suo collega, Luciano Nigro, ha intuito i pericoli, e i due commissariati proteggono i campi nomadi di Napoli Est. Dove però nessuno conosce la ragazza arrestata. Nessuno ci si mette. Neanche i genitori, in queste ore sarebbero pronti a disconoscerla. Sono terrorizzati. Temono rappresaglie. «Giuro che non so niente di lei», ripete Petre, battendo la mano destra sul cuore. Sottovoce escludono che vi siano organizzazioni, forse per abbassare il profilo di allarme e le reazioni. Fanno capire che la ragazza è entrata in casa per rubare, ha poi deciso nella sua ottusa disumanità di portare via la bimba, come un arnese di lavoro, fingere che fosse sua figlia e fare la questua, che follia. Proprio la Mobile, anni fa, arrestò due false madri di bambini ridotti in schiavitù e costretti a chiedere l´elemosina. Piangevano, «mamma, mamma». Erano straziati i poliziotti e la Lassandro. Ma i bambini urlarono di gioia mentre uscivano dalla questura, avevano visto finalmente i loro veri genitori. Li aspettavano in strada. «Zingari che avevano affittato i figli ad altri zingari», che mondo.
L´Opera Nomadi ha una ventina di operatori. Enzo Esposito dà assistenza sociale e legale. «Quelli della terza generazione sono ormai italiani, ma non riconosciuti. Al contrario di altri paesi, qui è italiano non chi nasce in Italia, ma chi nasce da italiani. Sono Rom che hanno origini lontane nell´ex Jugoslavia. Il Comune dovrebbe darci un centro di accoglienza e di smistamento, vivono male i Rom». Un centro è a Soccavo, per 400. Le baraccopoli a Napoli Est. In via del Riposo i più fortunati, sembra un paradosso. Raccontano. «Vivono accanto al cimitero, hanno quindi l´acqua e la corrente, rubano rame e ferro, anche fiori». Nel campo Rom di via Malibran c´è un cumulo di copertoni di camion. Li bruciano per tirare fuori i fili metallici. Il rame. Dormono tra fumi di diossina. «Vivere da nomade vuol dire vivere con l´acqua della fontana più vicina, infilarsi tra erbacce e rovi del prato incolto perché è quella la loro toilette, rubare corrente, aspettare elemosine, i piatti della Caritas o dei preti. Petre, ma che vita è? Se ne rende conto, allarga le braccia con le rose e le spinte incise: «Qui alcuni nostri ragazzi vanno a scuola, gli altri ragazzi non vengono a farci i dispetti, abbiamo capito che la scuola ci fa diventare amici degli italiani piano piano, ma questa ha preso la bambina ed ora è tutto più difficile», ammette Petre. Il timore di rappresaglie si è diffuso in tutte le baracche.
In via Mario Palermo, poco distante da via Malibran, hanno incendiato una motoape, i carrettini a tre ruore senza targa. C´erano due nomadi e li hanno costretti a fuggire. Portavano brande di ferro, portafiori di cimiteri. Tutto bruciato, rimane la sagoma incenerita del mezzo, davanti alle mura con scritte del club di tifosi del Napoli Calcio. Rilette adesso, sembrano inquietanti. "Tremate, stiamo arrivando". Oppure: "Fuego caliente". Una immagine dipinta di Maradona, mai così truce, ricorda Gengis Khan, con una frase che la mitiga: «Chi ama non dimentica». Tra il quartiere e i nomadi non c´è mai stato amore, però. Si sopportavano.
«Il rapimento della bambina può scatenare gli esaltati, ora ogni gesto può sembrare giustificato, bisogna stare attenti». "Ponticelli 21" e "Poggioreale 15" riprendono la strada. È una notte diversa. Carica di paura per i duemila Rom di Napoli. Petre dà coraggio alla sua tribù, «la polizia ci protegge, è lì c´è la chiesa che ci aiuta sempre», dice ai suoi. Ma non chiuderà occhio.