«Gli atti sacrileghi non sono dei nostri operai»
Plaudiamo all’iniziativa del Mattino di pubblicare il libro-denuncia sulle «Chiese proibite di Napoli» e ci associamo alla esortazione del direttore Virman Cusenza perchè «queste pagine diventino il tormentone per cittadini ed amministratori smemorati». La nostra Soprintendenza, com’è nella sua natura istituzionale, è stata ed è tutt’ora pronta a fare la sua parte per realizzare l’«auspicabile centralizzazione computerizzata dei cataloghi dei monumenti della città che renderebbe ogni architettura parte di un sistema controllato», come proposto da Cesare De Seta. Ma controllato da chi? La nostra amministrazione non svolge funzioni di guardiania, che sono, invece, obbligatorie per i proprietari, possessori o detentori dei beni. Come il libro dichiaratamente denuncia, questi ultimi si sono dimostrati impotenti a impedire introduzioni di ladri e malintenzionati all’interno di chiese abbandonate. È questo il caso della chiesa di S. Croce e Purgatorio al Mercato per la quale il cronista Paolo Barbuto illustra le condizioni di degrado presenti ad altezza d’uomo, ma, afferma «se si guarda verso l’alto pare di entrare in una bomboniera». Ringraziamo per il positivo giudizio espresso dal giornalista sul lavoro eseguito da questa Soprintendenza negli anni '90 dall’architetto Tobia di Ronza, quale progettista e direttore lavori, con l’ausilio dell’impresa appaltatrice dell’ingegner Lucio Materazzo. Ma proprio l’efficienza dei lavori eseguiti, indicativa dell’impegno di tecnici e maestranze, ed il loro rispetto per il monumento, dimostra che l’ipotesi avanzata, che a compiere «orrendi atti sacrileghi» possa essere stato qualcuno dei vecchi operai è totalmente assurda, oltre che offensiva per questa Istituzione. Come potrebbe un simile atto essere perpetrato da un operaio facente parte di una impresa di fiducia della Soprintendenza che, in quanto tale, dovrebbe avere grande esperienza e capacità? La sola ipotesi è fuori da qualsiasi logica. A memoria d’uomo, questa Soprintendenza non riesce a ricordare un atto compiuto da un operaio che possa aver recato il minimo danno ad un monumento. In genere sono gesti che compiono i malintenzionati, gli innamorati stupidi o i ragazzini incivili. Il monumento è stato consegnato da molti anni al proprietario, il Comune di Napoli, il quale lo custodisce e ne è responsabile. È stato aperto in diverse occasioni, come la manifestazione «Napoli porte aperte» ed è stato oggetto di atti di vandalismi giovanile come documentato dallo stesso Comune di Napoli, tant’è che è stato costretto a sbarrare con saldature e a rendere inutilizzabile l’ingresso posteriore. Si coglie, invece, l’occasione per informare che il lavoro svolto deve essere addirittura considerato innovativo per alcune soluzioni adottate. Infatti come si evince dalla documentazione fotografica allegata, oltre al restauro delle facciate, delle statue e dello scudo marmoreo. Inoltre, per la ricollocazione degli embrici sulla cupola è stato eseguito con un innovativo sistema di aggancio. Esaurito il finanziamento disponibile il lavoro di recupero e restauro è rimasto incompiuto. I problemi da risolvere sono ancora tanti. Bisognerà anche intervenire su parti che a suo tempo furono recuperate ma che l’incuria, il tempo e la mancanza di piccoli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria avrebbe potuto evitare. Si coglie, inoltre, l’occasione di rilevare che tra le chiese segnalate manca quella di Sant’Aniello a Caponapoli, su cui ci sarebbe stato tanto, ma proprio tanto da dire. Quante altre chiese non figurano nel libro? Perchè l’autore non si è preliminarmente informato presso gli organi ministeriali competenti? * Soprintendente per i beni architettonici e paesaggistici Risponde Paolo Barbuto Sono molte, troppe, le chiese proibite di Napoli, ecco perché non è stato possibile includerle tutte nella nostra inchiesta, anche se eravamo in possesso dell’elenco completo, essendoci informati preliminarmente presso tutti gli organi competenti, non solo quelli ministeriali. Per quanto riguarda gli «orrendi atti sacrileghi», chiariamo ai lettori che non si tratta di danni procurati a un monumento ma di un sarcofago aperto e utilizzato come cestino di rifiuti: in quel sarcofago, assieme ai resti di un bimbo, abbiamo trovato mozziconi di sigaretta, lattine di tonno, bicchierini da caffè usati, pezzi di legno, buste di calce e cemento. Non è «fuori da ogni logica» l’ipotesi che sia stato qualcuno che lavorava nella chiesa a compiere quello scempio, anzi la logica impone di pensare che sia proprio così. Comunque non cerchiamo colpevoli, abbiamo semplicemente fatto ciò che ritenevamo giusto: ripulito quei resti e richiuso la piccola bara.