Dopo la voragine resta l’abbandono otto mesi di silenzio
Napoli è abituata ai disastri, ha imparato a sopportare, reagire e poi andare avanti con insospettabile e invidiabile leggerezza. A San Carlo alle Mortelle, nove mesi dopo gli sprofondamenti, la vita è tornata quella di sempre: se non fosse per quella maledetta polvere fine e insidiosa che da nove mesi si solleva al primo alito di vento e si infila ovunque, nessuno ripenserebbe alle voragini che il 23 settembre dell’anno scorso, hanno ingoiato strade e bassi. Oggi quei giganteschi sprofondamenti sono stati riempiti, le auto circolano, gli scugnizzi sono tornati padroni della strada. L’unico segno reale e tangibile del dramma di quella notte, è l’antica chiesa; è avvolta da un immenso telo verde che ricopre una ragnatela di tubi innocenti necessari per reggere la struttura ancora non agibile. Davanti alla chiesa, nella piazzetta impolverata e costellata di pattume, passano uomini, donne e bimbi che sorridono al parroco, don Mimmo Toscano, e lo interrogano «quando riaprirà?». Il parroco sorride e chiede pazienza. È un bel tipo di prete che sarebbe banale chiamare «di frontiera». Don Mimmo forse è un prete da strada, o semplicemente un prete e basta, che vive con la gente, per la gente: strette di mano e parole di conforto alle signore-bene, dialetto e maniere forti per strappare uno scugnizetto arrampicato su un cancello «scinne a ’lloco», scendi da lassù. Quando infila la chiave nella serratura della Chiesa di San Carlo alle Mortelle, Don Mimmo fa un respiro profondo. Poi spalanca il portone sul disastro. La voragine che divorò il pavimento settecentesco, le panche, le sedie e gli inginocchiatoi, è stata riempita con cemento speciale. Ora, al primo passo dopo il portone, non c’è più il vuoto ma è comunque proibito camminare lì dentro: c’è una passerella di legno per avventurarsi in fondo alla chiesa e scoprire qual è lo stato. Il primo colpo alla struttura arrivò nel 1688 quando un terremoto la lesionò parzialmente. Fu rimessa in sesto e non ebbe altri sussulti fino alla metà del ’700 quando si verificò un problema statico dovuto (anche allora) al cedimento di una cavità sottostante. Dal 1773 a 2009 la vita di San Carlo alle Mortelle (per i napoletani le «mortelle» erano le bacche di mirto che abbondavano in quella zona) era stata tranquilla, fino alla maledetta notte del 23 settembre. Gli interventi delle prime settimane avevano dato speranze. Nelle prime ore sembrava che la chiesa dovesse essere abbattuta, poi si scoprì che il problema era meno grave: cisterne e cisterne di cemento speciale s vuotate nella voragine hanno restituito una buona base all’edificio. E lì s’è fermato l’intervento. Nei mesi successivi tutti gli sforzi sono stati concentrati nel recupero statico dei palazzi circostanti e nella riapertura della strada. La chiesa antica, simbolo del luogo, è stata dimenticata, lasciata chiusa a impolverarsi e a riempirsi di crepe. I tecnici hanno stabilito che la struttura ha subito una «torsione» verso la stradina che la costeggia. Alle prime piccole crepe, se ne aggiungono ogni giorno di nuove, che mettono i brividi, anche se gli esperti dicono che non c’è da preoccuparsi. La chiesa, però, è considerata inagibile: nessuno può entrarci. Così dopo quattrocento anni di vita intensa e caotica, quel luogo si è arreso agli ultimi otto mesi di irreale abbandono, e di silenzio. L’edificio appartiene al Fec, il fondo statale degli edifici di culto. Dalla Prefettura seguono con costanza la vicenda, informano il parroco su ogni possibile sviluppo. Però attualmente non c’è nulla da fare: mancano i fondi per il restauro, bisogna avere pazienza. La chiesa è stata ben preparata ad affrontare i lavori. Quadri e arredi sono stati rimossi, i marmi sono stati ricoperti con attenzione da strati di stoffa bianca. Tutto sarebbe pronto per l’inizio della ristrutturazione, l’unica cosa che manca sono gli operai al lavoro. E non è previsto il loro arrivo in tempi stretti.