La Madonna miracolosa che guarì il sovrano dalla sciatica
Alzando gli occhi alla sinistra del malridotto portone d’ingresso, si scopre una antichissima lapide che, in maniera assolutamente incredibile visto il degrado del luogo, ha resistito al tempo. Si tratta della descrizione del miracolo di guarigione che ottenne re Ladislao nei primi anni del 1400. «Dopo aver rivolto preghiere alla Madonna di Sicola il re Ladislao è guarito dal morbo della sciatica. Sua sorella Giovanna, ogni settimana nel giorno di sabato verrà qui a pregare», la traduzione non è letterale, ma rende il senso di quel che accadde dentro la chiesa. Dovete sapere che Ladislao di Durazzo non era un tipo tranquillo. Divenuto re a soli dieci anni, alla morte del padre Carlo III, fu costretto a scappare perché Luigi II gli scippò il trono. Cresciuto, andò a riprendersi il «suo» regno di Napoli, ci riuscì a ventitrè anni. E da quel momento pretese di portare a termine il progetto di Italia unita sotto l’insegna dei Durazzo: conquistò Roma, poi Perugia e puntò verso Firenze ma le sue mire espansionistiche, alla fine, si rivelarono un fallimento. Per una persona così attiva, capirete che convivere con la sciatica doveva essere un tormento. Ecco perché, dopo aver consultato decine di medici senza ottenere soluzioni al dolore, Ladislao decise di chiedere l’intervento divino e andò a pregare davanti al quadretto della Madonna di Sicola. Immaginate l’entusiasmo del re quando, dopo aver recitato molte orazioni, uscì dalla chiesetta e non sentiva più quel dolore tra la schiena e la gamba. Da quel momento, re Ladislao fu devotissimo alla Madonna di Sicola. Ma siccome era sempre in giro per l’Italia a combattere, lasciò alla sorella Giovanna, e alla sua corte, l’impegno di andare ogni settimana a rendere grazie a quell’immagine sacra. Oltre alla lapide che ricorda il miracolo di Ladislao, nell’antichità sul lato opposto del portone, a destra, c’era un altro marmo, sepolcrale, che raffigurava il sacerdote «Dado», in abiti di festa e spiegava che quel sant’uomo, morto nel 1343, era sepolto dentro la chiesa. Oggi al posto della lapide sepolcrale c’è un marmo recente, del 1940, che sottolinea le virtù di due missionari. Le ossa del sacerdote Dado, invece, sono prigioniere della chiesa: i marmi che conducevano alla terrasanta sono stati rimossi e riempiti con cemento, è impossibile recuperare i resti del prete morto 667 anni fa.