Le chiese proibite Santa Maria a Sicola

Deposito abusivo dentro la cappella di re Ladislao

Leone Sicola nel 1275 fonda la chiesetta collegata a un ritiro per giovani povere. Per il popolo la chiesa diventa Santa Maria a Sicola e poi si trasforma in «Antesaecula». Quando la zona di Forcella viene considerata insalubre la chiesa e il ritiro vengono trasferiti alla Sanità. Nel 1824 la chiesa è affidata alla confraternita degli apparatori
12 giugno 2010 - Paolo Barbuto
Fonte: Il Mattino

Santa Maria a Sicola Chiudete gli occhi e immaginate un sabato qualunque del 1401. La corte reale di Ladislao guidata da Giovanna, sorella del sovrano, si muove per le strade di Forcella, imbocca un vicoletto sulla Giudecca Vecchia, e si infila in un fondaco che sbocca davanti a una chiesetta tutta addobbata a festa. È Santa Maria a Sicola, la cappella prediletta da re Ladislao. Un gioiello di stucchi e addobbi, affidato ai prelati più in vista, quelli destinati a salire al soglio pontificio. Ora aprite gli occhi, guardate le fotografie di questa pagina e cercate di resistere al moto di rabbia che vi sta assalendo. Ecco com’è oggi Santa Maria a Sicola: il gioiello sacro costruito 735 anni fa è stato trasformato in un deposito di materiale edile. La parte superiore della cupola è stata letteralmente «segata» per non creare ostacoli al pavimento di una casa abusiva costruita sopra la chiesa, gli altari sono stati divelti, i quadri sono spariti, le acquesantiere usate come posacenere. L’unico segno dell’antica sacralità del luogo è un crocifisso ligneo (sul quale non c’è più Gesù), che però è stato tranciato nella parte inferiore per lasciare spazio a un banchetto dove tenere in ordine gli attrezzi da lavoro. Dello scempio s’è accorta il tenente Filomena Vicario della polizia municipale, durante una delle consuete perlustrazioni per verificare lo stato dei beni monumentali della città. Ha scoperto che la chiesa aveva il portone aperto, e all’interno c’era quel materiale edile abbandonato. Ha immediatamente contattato il tenente Marraffino, responsabile dell’unità operativa San Lorenzo che ha la gestione di quella porzione di territorio. Subito una pattuglia dei vigili è arrivata in supporto: il tenente Umberto Chinetti ha proceduto al sequestro, a tutela del luogo, in attesa di risalire al proprietario. I vigili hanno effettuato una verifica all’interno del luogo ma non c’era più nulla di pregiato, eccezion fatta per un marmo dell’altare maggiore nascosto in mezzo a ferri da lavoro. Santa Maria a Sicola Per evitare che anche quest’ultimo pezzo della storia della chiesa facesse una brutta fine, quel marmo è stato prelevato e portato al comando a disposizione delle autorità. Sono anche scattate le indagini per scoprire chi ha occupato abusivamente quel luogo. Tra i reggenti della chiesa, quando si chiamava ancora Santa Maria a Sicola, fino al 1502, ci fu anche Giovanni Pietro Carafa che poi diventerà Papa con il nome di «Paolo IV». La storia del luogo è legata a quella del ricovero per le giovani povere della città: tutto il palazzo che proteggeva la chiesa era nato con questa funzione. Poi la zona di Forcella venne considerata poco salubre per le ragazzine e si decise di spostare la casa di accoglienza in un luogo con aria migliore. La casa e la chiesa di Santa Maria a Sicola, nome che il popolo con gli anni aveva storpiato in «Antesaecula», vennero trasferite alla Sanità. La storia dell’abbandono di quel luogo che sta crollando, nella strada dove è nato Totò, l’abbiamo raccontata nel corso della nostra inchiesta. Con il trasferimento dell’immagine della Madonna, la cappella cara a re Ladislao perse anche il nome e tornò ad essere una «normale» chiesa di Napoli fino al 1824. In quell’anno Ferdinando I la affidò all’arciconfraternita dei «paradori» che la dedicarono al loro patrono, San Nicodemo. I «paradori» anche conosciuti come «apparatori», erano le persone che si occupavano di addobbare le chiese nei giorni di festa. All’interno dell’antica chiesa diedero massimo sfogo alla loro arte: arricchirono l’interno fino all’inverosimile di drappi e cornici che fecero un pessimo effetto agli storici narratori di Napoli dell’800. Dall’ultimo nome della chiesa prese il nome la stradina che la congiunge a Forcella e che ancora oggi si chiama «fondaco cappella dei paratori». Anche quel breve tunnel, il fondaco, un tempo era ricco e decorato: si riconosce, nel piperno sulla sinistra, una porzione di incisione che ha resistito agli sfregi del tempo e alla devastazione edilizia. La chiesa di Santa Maria a Sicola ora è chiusa con due assi di legno e con un lucchetto messo dai vigili. Dovrebbe avere attenzione, potrebbe essere restaurata e restituita alla città o, almeno, liberata da travi, sacchi di cemento e bidoni di pittura: la chiesa di Ladislao non merita questa orribile fine

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