Abbandono e crolli sta scomparendo il convento del ’500
È ancora imponente il monastero, anche se è malridotto. Porta i segni del tempo che ha infierito con violenza negli ultimi quattrocento anni: terremoti, invasioni, guerre, saccheggi, bombardamenti, lo avevano ferito ma non ucciso. A dargli il colpo di grazia è arrivata l’incuria dei nostri giorni. Gli ultimi cinquanta anni di abbandono totale sono stati più letali dei precedenti quattrocento. Piazza Arenella, a cinquanta passi dal caos del traffico e delle auto parcheggiate ovunque, affacciandosi in una stradina privata di fianco al fioraio, si può scoprire la sagoma del gigante: il convento degli Agostiniani. È abbracciato da una teoria di tubi innocenti che tengono insieme i muri, a forza. Vorrebbe arrendersi, quella struttura, ma glielo impediscono. Esattamente quattrocento anni fa, nel 1610, venne posata la prima pietra della chiesetta su un suolo ceduto dai monaci Cassinesi. Ma già dal 1575, gli Agostiniani Scalzi si erano insediati qui, al «Casale all’Arenella, circa un miglio fuori delle mura della città». Il convento ebbe vita breve, abitato dal 1575 al 1652, poi la struttura venne trasformata, ci entrarono le persone del luogo. Al piano terra le botteghe, nelle celle dei monaci ai piani superiori, tante casette. La chiesa, invece, non osò toccarla mai nessuno. Rimase lì, in fondo alla struttura, abbandonata ma rispettata nonostante gli affreschi sbiaditi e l’altare malconcio. Poi, una notte di pioggia di qualche mese fa, gli inquilini dei palazzi circostanti si svegliarono per un rumore intenso e cupo. Capirono al volo. Era crollato il soffitto del convento: era crollato esattamente dal lato della chiesa, cancellandola per sempre dalla storia della città. Una parte del convento, però, resiste con prepotenza. Il viaggio tra quelle mura è affascinante e incredibile: nelle stanze con i muri mezzi crollati, sotto a strati e strati di pittura compare ancora il blu elettrico dei giorni della fondazione, quello ottenuto miscelando prodotti naturali. Infilandosi fra travi che scricchiolano e camminando ai bordi delle stanze dove la parte centrale del pavimento non c’è più, si scopre ancora il tufo antico. Crollate giù da un balcone ci sono ancora le inferriate originali, inchiodate, non saldate, come si faceva duecento anni fa. In fondo al giardino c’è, abbandonata, un’auto-furgone degli anni ’50, il cofano ancora alzato per una riparazione mai avvenuta. Le sorprese più emozionanti, però, le regala la cantina dove si accede solo con scale di fortuna, attrezzature speciali e la «guida» speciale dello speleologo Luca Cuttitta de «La Macchina del Tempo». Lì sotto i crolli non sono arrivati e la vita è ferma nel tempo: botti gigantesche, torchi per schiacciare l’uva e fare il vino, immensi martelli per tappi di sughero dal diametro di quindici centimetri. La tristezza per l’abbandono, però, va via quando si scopre che il convento è pronto a rinascere a nuova vita. Non appartiene alla cosa pubblica, è nelle mani di privati che stanno pensando di ristrutturarlo rispettando il disegno originale, recuperando le piccole torri e i meravigliosi cancelli. Potrebbe diventare un hotel o essere destinato a tante piccole abitazioni con la formula del residence. Il progetto più affascinante, però, è quello della creazione di un centro benessere, partendo dal basso dove ci sono le antiche vasche per il vino e arrivando sul tetto che oggi è mezzo crollato, dal quale, in un solo colpo d’occhio, si vede tutto il golfo, da punta Campanella a Ischia: una vista mozzafiato per i bagni di sole del futuro centro benessere. Stavolta, ci piace credere che qualcosa cambierà. E magari, se dalle macerie venisse recuperato l’altare dell’antica chiesa, il progetto di ricostruzione potrebbe prevedere una cappellina: per ricordare che l’Arenella, prima di essere trasformata in un mare d’asfalto e cemento, era un casale tranquillo, adatto alla meditazione.