Il ritiro dei Dotti nel complesso dei Gerolamini

La cappella del ’600 colpita dalle bombe e chiusa da 70 anni

24 aprile 2010 - Paolo Barbuto
Fonte: Il Mattino

Il ritiro dei Dotti nel complesso dei Gerolamini Il soffitto a cassonetti del ‘400 è tutto ammassato per terra ai lati dello stanzone restaurato per metà. Per raccontare la storia di quei legni intagliati seicento anni fa, bisogna entrare della cappella dei «Dotti» che si trova nel cuore del complesso dei Gerolamini ed è vietata a tutti, perché è stata bombardata ed è ancora inagibile. Se siete perplessi non preoccupatevi, non è un errore. Quello che a prima vista può sembrare un articolo del 1944, quando Napoli cercava di risorgere dalle macerie, è invece una denuncia di oggi, del Mattino del 24 aprile 2010. Napoli fa ancora i conti con i danni della grande guerra. Questa è una storia dura e delicata al tempo stesso. Resa dolce dal luogo dov’è ambientata: maioliche e giardini che i Gerolamini governano e custodiscono con amore ed entusiasmo. Eppure estremamente dolorosa per ciò che racconta, e che vedete rappresentato nelle fotografie di questa pagina. È una storia che affonda le radici nel tempo, ma arriva in un lampo fino ai nostri giorni. Il ritiro dei Dotti nel complesso dei Gerolamini A partire dal 1586 i Gerolamini comprarono tutti i palazzi della zona e li fecero abbattere per fare spazio alla maestosa chiesa che è stata recentemente ristrutturata (ma aspetta ancora la ufficiale e definitiva riapertura al turismo e al culto). Tra le strutture da radere al suolo c’erano anche tre chiese del ‘300 e del ‘400 dalle quali furono salvati alcuni oggetti sacri, qualche tela e quel soffitto a cassettoni che oggigiorno è ammucchiato per terra mezzo bruciacchiato. Oltre alla imponente e maestosa chiesa, l’ordine religioso realizzò, nell’androne dietro al chiostro, anche tre piccole cappelle, destinate alle discussioni sui testi sacri. All’inizio del ‘600, però, non era prevista la commistione di classi: così fu creata una cappellina per gli artisti, ne venne realizzata un’altra per i bambini e infine, la più imponente, quella per i Dotti, i dottori, le persone che sapevano più delle altre. Quest’ultima era la cappella più bella. Di fronte alla parete laterale con finestroni che davano sulla strada, c’era un muro cieco sul quale erano dipinte finestre talmente simili alle originali da confondere i visitatori. L’altare era custodito da due gigantesche raffigurazioni: san Pietro alla destra, san Paolo a sinistra, dipinti ad affresco in forma di statue. Al soffitto vennero applicati i legni del ’400. In fondo, un altare di marmi pregiati, sopra il quale c’erano affreschi dai vividi colori. Dietro a quell’altare una preziosa tela che gli esperti dell’800 hanno attribuito a Fabrizio Santafede. Oggi l’affresco dai colori intensi è percorso da una crepa imponente che si divide in due pericolosi rami. Di fianco alla rappresentazione di San Pietro, alla sinistra dell’altare, una spaccatura divide il muro esterno dal resto della chiesa. Pare quasi che possa venire giù da un momento all’altro. Il soffitto a cassettoni è stato sostituito da una copertura che, almeno, non lascia quel luogo esposto alle intemperie. I finestroni a «trompe-l’oeil» sono stati in parte ridisegnati. Sopra l’altare c’è ancora la tela antica e imponente. E’ decisamente malmessa. Ha un paio di grossi buchi e sembra bruciacchiata qua e là. Quel che c’è li sotto può soltanto essere intuito perché il gigantesco quadro è protetto da una plastica doppia che, oggi, serve ad evitargli ulteriori sfregi. Quando quel telo di plastica viene sollevato appena un po’, fa galleggiare una nuvola di polvere ma consente di vedere da vicino un’opera che andrebbe valorizzata, come accade per le tante e incredibili tele custodite nella quadreria del complesso religioso. Quella cappellina che è ancora bellissima, si trova in questo stato (eccezion fatta per il la copertura rifatta) dal 21 febbraio del 1943. Su Napoli piombarono le fortezze volanti dei futuri alleati, l’obiettivo era il Decumano maggiore che venne martoriato. I morti si contarono a centinaia e quel giorno viene ancora ricordato come quello della «strage di via Duomo». La cappella dei Dotti ai Gerolamini non venne colpita in pieno da una bomba, che l’avrebbe devastata, fu centrata da schegge, da pezzi degli altri palazzi che crollavano tutt’intorno. Oggi quel luogo è l’ultima testimonianza viva della strage di via Duomo, ma di questa testimonianza, Napoli non ha bisogno. La città avrebbe il diritto di riscoprire la sua cappella dei Dotti così com’era nel 1787, al momento dell’ultimo restauro. Quella data è scritta sul pavimento della cappella, al centro di maioliche disegnate a fiori. Quelle maioliche rappresentano un piccolo miracolo: nonostante le bombe e i colpi di maglio dell’abbandono nel tempo, hanno resistito con tenacia per oltre duecento anni e sono lì. Aspettano di essere ancora calpestate, magari da turisti e non solo da fedeli, per raccontare la loro storia che si mescola con quella della città antica e che s’è fermata durante un giorno di guerra di 67 anni fa.

Powered by PhPeace 2.6.4