Sessanta metri sotto l’altare c’è la grotta dei misteri
Davanti all’ingresso della chiesa c’è una botola di un metro e mezzo di diametro, oggi ricoperta dalle erbacce, che scivola in profondità per sessanta metri e s’infila dentro una cava di tufo greca. La grotta fu scoperta nel 1987 da Enzo Albertini che allora non aveva ancora fondato «Napoli Sotterranea» ed era un giovane e arrembante speleologo. Sono passati 23 anni ma Albertini è ancora arrembante, e speleologo. Ed è anche meravigliosamente guascone quando si autodefinisce «Indiana Jones metropolitano». Però l’immagine si attaglia al personaggio, soprattutto quando rientra nella cavità e fa da cicerone in quel luogo che conserva, intatta, la magìa di 2.500 anni fa. Nel buio totale, anche la luce delle torce più potenti è fioca. Albertini lo sa, cerca una zona poco scoscesa al centro della grotta e chiede pazienza «aspettate che gli occhi si abituino al buio». Ha ragione a chiedere pazienza. Dopo cinque minuti il buio non è più così buio, e sulle pareti della caverna compaiono le incisioni lasciate dai cavatori. Non è alfabeto greco, sono misteriosi segni e disegni; geroglifici che non hanno ancora trovato una traduzione: «Le pietre cavate da questa grotta di tufo sono state usate per le mura della città greca. Chi passa a piazza Bellini e si affaccia sui resti di quelle mura, ritrova gli stessi simboli che sono qui dentro», racconta Albertini con giustificata enfasi. Solo di recente il napoletano ha avuto anche un riconoscimento economico dal ministero per la scoperta. Mala vera vittoria per Albertini sarebbe l’intervento di un gruppo di studiosi per chiarire il significato di quelle incisioni. Albertini, intanto, è deciso a non fermarsi perchè è convinto che questa zona nasconda altre meraviglie: «Scoprii questo luogo dopo la frana del cimitero nel 1987. Ora c’è un’altra frana in atto, è un segno del destino, riprenderò subito le ricerche».