Tappeto di guano davanti ai loculi dei cardinali
La prima tomba del cardinale Riario Sforza è conservata nella chiesa di Santa Maria del Pianto, chiusa da trent’anni. La tomba la vedete nella grande fotografia di fianco al titolo: invece quello che vedete in primo piano e che vi sembra il pavimento, non è il pavimento. È un orrendo tappeto di guano, dello spessore di oltre dieci centimetri, che avvolge e ricopre qualunque cosa. Il guano, per capirci, è la cacca dei piccioni. Tutta l’area della chiesa chiusa e abbandonata (trecento, quattrocento metri quadri, forse di più) è sepolta sotto uno strato di quella robaccia. Quando le scarpe ci affondano dentro, la sensazione è ripugnante. Quando lo sguardo si alza su quel che resta della imponente chiesa del cimitero del pianto, la sensazione è peggiore. È stata sfregiata dal terremoto e dall’incuria, depredata dei beni più preziosi nel corso degli anni, lasciata marcire senza attenzione, senza pudore, senza cuore. La pala dell’altare fu dipinta nel 1662 da Andrea Vaccaro, le tele a destra e a sinistra furono realizzate da Luca Giordano un anno prima. Vuole la leggenda che le dipinse entrambe nel giro di due giorni, guadagnandosi il soprannome di Luca «Fapresto». Oggi le tre opere d’arte sono conservate nei musei cittadini, strappate per tempo alla distruzione. Un’altra tela, di grandi dimensioni e sicuramente contemporanea alle tre dei noti artisti, è appoggiata al muro di quella che fu la sagrestia. È bellissima e malridotta. Per reggere i punti dove mostrava cedimenti, qualcuno ha utilizzato puntine da disegno gialle: un tormento vedere quello scempio. L’esterno dell’edificio sacro è protetto da una doppia rete cementata a terra e alta due metri. Nessuno deve avvicinarsi a quell’opera d’arte in rovina. Il soffitto della chiesa, crollato, è stato ripristinato con lavori recenti; le torrette campanarie laterali sembrano pericolosamente in bilico. All’interno della chiesa il balcone di legno che sovrasta il portone d’ingresso, sul quale c’è un antico organo, si sfalda a vista d’occhio. Nel vero senso della parola, basta guardarlo per una decina di minuti per vedere brandelli di legno che vengono giù. Tutt’intorno uno scenario d’agonia. Marmi divelti dagli altari, iscrizioni funerarie nascoste dietro assi di legno, per evitare il crollo o il furto. Ai due lati dell’altare principale sono ancora belle e imponenti le tombe dove furono deposti, subito dopo la morte e prima delle successive traslazioni, Sisto Riario Sforza e Guglielmo Sanfelice: i cardinali più amati della Napoli dell’800. Quelle pregevoli sculture funebri sono immerse in un mare di guano; in un indescrivibile scenario di sfarzo e schifo che provoca rabbia e tristezza. Al centro della chiesa, dove il pavimento è stato rubato, il mare di guano lascia spazio a un rettangolo vuoto: è uno degli accessi alla terrasanta dove i nobili avevano il permesso di seppellire i familiari. Il marmo che proteggeva quel luogo è stato portato via: incisioni e iscrizioni antiche erano troppo pregiate per essere lasciate in pace dai ladri. Quel marmo adesso sarà sicuramente esposto dentro una villa elegante. Infilarsi sotto al pavimento della chiesa e recuperare immediatamente la sensazione di orrore e ripugnanza è tutt’uno. Le cappelle più antiche, protette da cancelletti di legno, sono state depredate. Hanno resistito solo quelle dove ci sono antichissimi e inespugnabili lucchetti di ferro. Anche lì sotto è tutta una teoria di topi e piccioni morti, anche nella parte più nascosta e oscura della chiesa c’è il disastro. Solo che qui è ancora peggio, perché la devastazione ha aggredito le casse da morto. Molte hanno ceduto di schianto facendo ruzzolare sul pavimento le ossa, altre sono mezze aperte e fanno cadere, di tanto in tanto, un pezzettino d’osso che arriva a terra ed emette un lugubre rintocco. Lasciarsi alle spalle l’orrore di Santa Maria del Pianto e ritrovare il sole caldo d’aprile, è una liberazione. «Nessuna incuria né abbandono in quel cimitero», l’Amministrazione, giusto ieri, dopo la scoperta della frana che sta portando giù le cappelle, ha chiarito che va tutto bene, che tutto è sotto controllo. Noi, chissà perché, non riusciamo ad esserne così sicuri. Forse perché due giorni fa abbiamo trovato strade spaccate come biscotti, e ieri abbiamo visto una chiesa del ’600 ricoperta da dieci centimetri di cacca di piccione e pronta a crollare.