La lettera spedita dal purgatorio. E dietro l’altare spunta un gatto «mummificato»
Santa Maria a Vertecoeli era la chiesa «dei morti». La confraternita che la gestiva contava più di 1.500 iscritti che avevano l’obbligo di andare per la città a fare la questua per le messe in favore delle anime del purgatorio. Il culto dei morti è ancora oggi visibile nei segni: all’esterno della chiesa campeggiano teschi con ossa incrociate, ai lati del portone principale, due piccole porte conducono a un’ampia terrasanta nella quale venivano conservati i resti dei religiosi e dei confratelli. Per anni i fedeli napoletani hanno venerato un foglio di carta che si riteneva fosse una lettera spedita alla chiesa direttamente dalle anime del purgatorio: attualmente, però, non ci sono tracce dei contenuti di quella missiva dall’aldilà. Si diceva che fosse custodita alle spalle dell’altare, dove effettivamente c’è una cassaforte, oggi svaligiata. Quella lettera fu riprodotta in copie: una di queste viene citata nel 1839 da «The Churchman», rivista religiosa inglese che racconta del popolo dell’isola di Gozo, a Malta, al quale veniva offerta in venerazione una copia della missiva, riprodotta dallo stampatore napoletano Angelo Coda. I confratelli di Santa Maria a Vertecoeli uscivano quotidianamente e chiedevano denaro per far dire le messe. Erano divisi in gruppi che facevano riferimento a un «capo paranza» il quale raccoglieva il denaro e lo versava settimanalmente alla chiesa. Erano consentiti accordi in base ai quali un capo paranza poteva garantire un versamento fisso annuale alla confraternita e intascare tutta l’eccedenza raccolta dal suo gruppo. Molti napoletani, tra la metà e la fine del ’700 si arricchirono in questa maniera. La confraternita era particolarmente attiva quando c’erano le esecuzioni capitali. Nei giorni che precedevano l’impiccagione, gli uomini percorrevano tutte le strade della città levando un canto cupo «Facimmo bbene a ’stanema co le sante messe». In quelle occasioni, dai balconi piovevano soldi in quantità.