Dall’antica cripta spunta un circuito per automobiline
Potrebbe essere un piccolo gioiello barocco incastonato nel cuore della città. È semplicemente un portone chiuso da vent’anni, dietro al quale si nascondono abbandono e umidità, arte a brandelli e ossa. Sul bel pavimento della chiesa pezzi d’intonaco e legno; sotto a quel pavimento, nella terrasanta aperta e accessibile dalla chiesa, file di teschi ordinati e quattro fosse per la sepoltura dalle quali spuntano poveri resti umani. E in mezzo a pezzi di mandibola e d’anca, nel terreno che dovrebbe ricoprire le ossa, c’è ancora una automobilina usata chissà da quali scugnizzi, chissà quando (ma in tempi recentissimi), per correre lungo una pista disegnata tra gli scheletri. Chiesa di Santa Luciella: incastrata nell’unica curva a gomito dell’omonimo, breve, vicolo che collega san Biagio dei Librai a San Gregorio Armeno. Il cancelletto esterno è serrato da un pezzetto di filo di ferro. Il portone d’accesso è bloccato da un lucchetto chiuso trent’anni fa e mai più aperto, così è diventato un unico blocco impossibile da aprire. L’accesso è consentito solo dalla porticina laterale che un tempo era di solido ferro e oggi è tenuta insieme da brandelli di ruggine. Anche qui i lucchetti sono incastrati dal non-uso e occorre un martello per convincerli ad aprirsi. Si entra dal fondo della chiesetta che, sebbene abbandonata e in rovina, regala ancora belle sensazioni. L’altare ha perduto il pesante fregio di marmo centrale che si è adagiato per terra, nello spazio dove era conservata la piccola statua di Santa Lucia (Luciella, appunto), ora c’è il vuoto. Questa era la chiesa dei pipernieri, gli antichi artisti che scolpivano le pietre dure con le quali, assieme al tufo, è stata edificata la città. Uomini forti, abituati a lavorare con scalpello e martello, i pipernieri temevano solo una cosa, le schegge che schizzavano dalla pietra e si conficcavano negli occhi. Per questo veneravano Santa Lucia, protettrice della vista. Non potevano avventurarsi fino alla grande chiesa dedicata alla santa nel borgo di pescatori, perché avrebbero creato tensioni e conflitti. Così i pipernieri ottennero la loro personale Santa Lucia, piccola ma accogliente. Oggi la chiesetta è praticamente inglobata dagli edifici circostanti. Non è ridotta a un cumulo di pietre cadenti come tante altre chiese della città, quelle di cui abbiamo scritto dall’inizio della nostra inchiesta. Certo, i problemi di statica sono evidenti, soprattutto per il coro ligneo, retto da tre putrelle che ne evitano il crollo, sul quale c’è ancora l’antico organo originale. Per salvarla dalla rovina basterebbe un modesto intervento. Ma bisogna agire in fretta perché il degrado avanza ad ogni pioggia che fa infiltrare l’acqua, ad ogni colpo di vento che s’infila dai serramenti, ad ogni incursione di persone che riescono in qualche modo a forzare la porta e ad accedere. La chiesetta è retta da padre Mariano, esempio unico di sacerdote di frontiera che riesce a sembrare «normale». È parroco della chiesa dei santi Filippo e Giacomo, è attivo nella comunità di Sant’Egidio, è pronto ad accogliere nella sua chiesa quel che resta del popolo dei decumani che si riduce sempre di più. Per padre Mariano la chiesa di Santa Luciella è una sfida. Non una sconfitta e nemmeno una battaglia. È pronto a recuperarla e a trasformarla in luogo d’incontro per i ragazzi, e in biblioteca. Cerca una soluzione ai problemi di tenuta statica e non si rivolge solo alla sua comunità ma a tutta la Napoli che ha voglia di impegnarsi. Basterebbe l’intervento di uno sponsor, di una associazione, di qualcuno disposto ad accollarsi l’onere del restauro, per restituire alla città un pezzo di storia, e alla zona un luogo d’incontro. (5. continua)