Viaggio nel centro Paradiso la sede storica della società chiusa dopo il fallimento e distrutta dall’incuria

Topi e barboni nella casa del grande Napoli

Sul campo di allenamento l’erbaccia copre le porte. Negli spogliatoi vive ancora il cane dei giocatori

30 agosto 2009 - Paolo Barbuto
Fonte: Il Mattino

cane Non si vedono più le porte sul campo da gioco del centro Paradiso di Soccavo: il prato dove il Napoli ha costruito i suoi successi è sepolto da una giungla di sterpaglia che arriva fino alle traverse. Non ci sono più le panchine negli spogliatoi che furono di Maradona, Ferrara e Bagni: gli stanzoni sono ricoperti da una melma di escrementi d’animali e pattume. E la puzza fa venire conati di vomito. Non ci sono più la moquette e i bei divani nelle sale dei trofei, dove i calciatori si rilassavano giocando a biliardo e guardando la tv: adesso si scorgono segni di bivacco e letti di cartone dei barboni. Il viaggio nel centro Paradiso di Soccavo è una stilettata al cuore: chi ha frequentato e amato questo posto quando era vivo, soffre a scoprirlo morto e imputridito, abbandonato all’incuria e vittima degli strascichi del fallimento della vecchia società azzurra. Il cancello di ferro blu che affaccia sulla strada è aperto, la sensazione è che all’interno ci sia qualcuno, la voglia di riscoprire il passato recente è forte. «Permesso? C’è qualcuno?». Qualcuno c’è. Dall’interno degli spogliatoi viene fuori, mogio mogio, Rocky, il pastore tedesco che faceva la guardia al campo ed era il beniamino dei calciatori. È vecchio e malato, vive trascinandosi nella solitudine, soffre sotto al sole d’agosto. Un ex dipendente passa spesso a lasciargli scatolette di cibo e a riempire le ciotole d’acqua. Rocky è il padrone del centro. A fatica lo percorre tutto, ma non ha più la forza per fare la guardia, così qui dentro succede di tutto. Giuseppe Sequino abita nel palazzo che confina con il campo: «Ci entrano spesso - racconta -. Sono ragazzacci che cercano le ultime reliquie del Napoli, ma anche barboni a caccia di ricovero, ladruncoli che cercano qualcosa da portare via». Anche Carlo Bonifacio vive nella zona: «Un giorno, quando il centro era ancora presidiato, fecero pulizie e gettarono in strada buste e buste di materiale da gioco: maglie strappate, calzoncini inutilizzabili, scarpette sfondate. I ragazzini vennero a razziare tutto». Anche negli uffici è stato razziato quel poco che non fu portato via nei giorni del fallimento. napoli Una finestra della palazzina delle cucine è stata sfondata di recente, ci sono i segni delle scarpe da ginnastica del mariuolo. Nella sterpaglia che ha circondato l’edificio, c’è il segno del trascinamento di qualcosa: il ladro deve aver portato via qualcosa di pesante. La vegetazione incolta sta prendendo il sopravvento sul cemento. Le radici alzano il terreno, i rami sono penetrati dentro le stanze, l’aspetto è spettrale. Calcinacci caduti sono ovunque. Nel piazzale alle spalle della palazzine dei calciatori ci sono ancora i resti delle «batterie» di fuochi d’artificio che qualcuno è venuto a sistemare per il capodanno del 2009. Gli spalti quasi non esistono più. I sediolini sono divelti, quei pochi che hanno resistito sono avvolti dall’erbaccia. Se chiudi gli occhi, da lassù pensi che tra poco ascolterai Ottavio Bianchi che striglia la squadra o Diego Maradona che scommette con i compagni: «calcio da centrocampo e centro la traversa», detto e fatto, naturalmente. Invece l’orrenda realtà è un incredibile silenzio d’agosto, rotto soltanto dal continuo passare di topi e piccoli serpentelli, padroni della steppa che ha sostituito il prato. In fondo, sul campetto da basket, con stupefacente ostinazione i due canestri hanno resistito alla devastazione: sono lì, svettano tra i rovi, uno ha anche la retina al suo posto. Ai lati di quello che fu il campo, sono rimasti appesi in bell’ordine, gli attrezzi usati per l’ultimo allenamento: ostacoli bassi, tappetini elastici, corde per saltare. Il pastore tedesco Rocky fa capire di non avere più voglia d’intrusi. Va a rintanarsi nei «suoi» spogliatoi: se il padrone di casa è stanco bisogna andare via. L’affetto per quel luogo, impone di accostare il cancello andando via. Ecco, è chiuso. Come nei giorni in cui la squadra era in ritiro e nessuno doveva disturbare.

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