«Ecco le nostre impronte digitali adesso dovete schedarci tutti»
Il più giovane è Alessandro e ha solo 10 anni. Anche lui si è messo in fila per farsi schedare perché «se vogliono le impronte dei bambini rom, devono avere anche le mie». Matteo Somma, invece, di anni ne ha 89 e «tutto questo gran parlare della schedatura, mi ricorda gli anni della guerra e della pulizia etnica. Mi fa paura e tempo che sarà sempre peggio». In piazza Trieste e Trento saranno almeno un migliaio le schede raccolte ieri pomeriggio, tantissime delle quali da immigrati naturalizzati. Ma i napoletani che vengono catturati dagli striscioni con la scritta «Il razzismo ci rende insicuri» sono molti. Tra loro c’è Miriam Rebhun, che fa parte della comunità ebraica napoletana e afferma che «scendere in piazza e lasciare le proprie impronte è un atto dovuto». Faduma Abdulle è somala, vive a Napoli da 18 anni e avverte che «il razzismo negli ultimi anni sta aumentando. E questo mi inquieta». Gli fa eco Joseph Mohamed, immigrato ghanese spaventato che «la schedatura etnica di migliaia di cittadini rom possa rappresentare l’inizio di un futuro oscuro, dove ad essere schedati saranno i musulmani o chi ha la pelle nera. Firmare e lasciare le proprie impronte significa non sentirsi diversi ma diventare uguali». Tra la folla c’è anche l’attrice Marina Confalone che si lascia macchiare le dita con l’inchiostro nero: «Ma che sono queste schedature, sui bambini poi. Potrebbe essere l’inizio di un qualcosa di più grave ed è meglio chiarire il nostro sdegno subito». «Chiediamo a tutti di diffondere la mobilitazione - spiega Andrea Morniroli dei Cantieri sociali - È tempo di schierarsi e lavorare per l’integrazione». Tra le associazioni che hanno aderito alla raccolta delle schede Cgil Napoli, Comunità del Bangladesh, Associazione senegalese, Comunità dello Sri Lanka, Comunità palestinese e Opera Nomadi.