Eternit, la rabbia di Bagnoli "Non siamo vittime di serie B"
IL COMMENTO più diretto è postato su un forum on line: «Non possono esistere morti di serie A e di serie B. Morti di Casale e morti di Bagnoli». E con il passar delle ore cresce l'amarezza per la sentenza del Tribunale di Torino sul caso Eternit che ha riconosciuto il disastro ambientale e condannato a 16 anni i due imputati ma ha dichiarato prescritti gli episodi avvenuti nello stabilimento napoletano e in quello emiliano di Rubiera. Certo, resta in piedi la strada dell'azione civile per ottenere il risarcimento del danno che non è preclusa dal proscioglimento per prescrizione. Ma per molti la decisione rappresenta altro dolore che si aggiunge a una storia piena già di sofferenze rese più lievi, in questi anni, proprio dalla grande attesa di giustizia riposta nel processo istruito dal procuratore aggiunto Raffaele Guariniello. Adesso gli avvocati che hanno assistito i familiari degli operai di Bagnoli studiano il ricorso in appello e anche la possibilità di intraprendere altre strade, compresa la possibilità di chiedere l'apertura di un nuovo fascicolo per diverse ipotesi di reato. Valutazioni che diventeranno più precise dopo il deposito delle motivazioni del verdetto. Anche la Cgil Campania non esclude la possibilità di riaprire il caso. «Perla parte che riguarda Bagnoli decidiamo di ricorrere in appello, previa valutazione attenta dei motivi a sostegno del ricorso. Il filo rosso di una storia drammatica — si legge in una nota —che univa euni -sce le realtà territoriali, le loro storie e le loro ansie continuerà a motivare il prosieguo delle battaglie perottenerepiù giustizia, più bonifiche, più ricerca». Tra i sopravvissuti è forte la sensazione di aver subito una vera e propria beffa dopo annidi sofferenze. «Prescrizione, e che significa questa parola?», si chiede Attilia Cardella, 73 anni. Attilia ha lavorato a Bagnoli dal 1955 al 1983. Era stata assunta all'età di sedici anni come orfanadi guerra. Nel 1978 si ammalò di asbestosi. «Io so solo che le vite di noi di Bagnoli e le vite degli operai di Casale valgono allo stesso modo. Siamo anche noi poveri cristiani. Non è una questione di risarcimenti. Vorrei solo che si facesse giustizia. Dico giustizia», rimarca Cardella che di quei giorni conserva ricordi nitidi. «Si lavorava solo con i guanti per evitare di ferirci alle mani. Ma la polvere era dappertutto, si alzava anche se solo si camminava nel reparto. Negli ultimi anni abbiamo utilizzato le mascherine. Ogni tanto so di qualcuno che ci ha lasciato, nello stabilimento eravamo oltre 1200. E proprio per questo — conclude Attilia — abbiamo il dovere di non arrenderci. Contro l'amianto killer non c'è prescrizione che tenga». Anche Carlo Finardi lavorava a Bagnoli. Oggi ha 88 anni. E ricorda: «Alla selezione si presentarono in dieci, fummo assunti in due. Si lavorava su due turni, dalle 6 alle 14 edalle 14 alle2. Da Bacoli, ogni giorno, raggiungevo lo stabilimento in sella a una bicicletta». Poi si è ammalato. «La malattia, gli anni. Ora faccio fatica a camminare e, di tanto in tanto, devo fare ricorso all'ossigeno. Mavorrei capire: perché si è deciso in questo modo. E che significa?».