Bagnoli, tutto prescritto
Infemo e paradiso. Era questo per i disoccupati napoletani l'Eternit di Bagnoli. Il paradiso per chi non aveva lavoro e aspirava ad entrare nella fabbrica, e l'inferno per chi era dentro, a bruciarsi la vita ogni giorno con l'amianto. Quasi cinquecento vittime, uccisi da tumori ai polmoni, cancro alla laringe, asbestosi, mesiotelioma, più un altro centinaio di lavoratori ammalati che non vedranno mai risarcita la loro dannazione. Perché per i reati commessi dalla multinazionale negli stabilimenti della Campania e dell'Emilia Romagna è scattata la prescrizione. La sentenza è importante, dice il sindaco della città Luigi de Magi-stris, ma "è anche causa di amarezza per la nostra comunità: tante famiglie napoletane non hanno infatti trovato giustizia. Resta comunque una sentenza fondamentale perchè chiama in causa, rinnovando l'urgenza di una risposta, il tema della bonifica e della riqualificazione di Bagnoli".
COME SI VIVEVA e si lavorava in quella fabbrica, lo ha raccontato al processo l'operaio Luigi Falco. "Sapevamo tutto dal 1961, si sapeva che l'amianto faceva ammalare le persone". Luigi è un ragazzo quando il padre, operaio a Bagnoli, muore di una strana malattia. "Io e mia madre - testimonia - andammo dal capo del personale e gli dicemmo che nostro padre era morto a causa del suo lavoro in fabbrica. Il dirigente guardò la donna e il ragazzo e con calma li invitò a "non fare confusione. Alla prima occasione prenderemo vostro figlio a lavorare". Luigi diventa anche lui operaio dell'Eternit, dal 1969 al 1982, tredici anni a respirare asbesto. "Ogni giorno svuotavo 70 chili di amianto blu con le mani. C'era polvere - racconta agli allibiti giudici torinesi - e le mascherine non bastavano mai per tutti gli operai". Nel 1982, Luigi Falco sta male. È una bronchite, dicono i medici. Più tardi scoprirà che si tratta di asbestosi, una malattia che all'epoca l'Inail non riconosce". Come tutti i suoi colleghi, Luigi in quegli anni non viene mai informato sui rischi che corre, perché in quella fabbrica protestare era difficile. "Il reparto dell'amianto - dice ai giudici l'operaio - era considerato un reparto punitivo". Ma dove finivano gli scarti della lavorazione, i residui di amianto? In parte rivenduti, e utilizzati nell'edilizia, in parte interrati nel napoletano. Nell'udienza numero 41 del processo ha testimoniato Roberto Petacco, direttore dell'Eternit di Bagnoli da 1979 al 1984 dicendo che buona parte dei residui veniva portata nella discarica di Pianura. Si tratta della più grande discarica del Sud, nel cuore di uno dei quartieri popolari più popolati di Napoli. Città che per questo disastro ambientale non avrà giustizia, come le famiglie degli operai morti di amianto.