Rifiuti tossici, così i clan gestivano il business
C’è la mediazione della camorra negli anni degli sversamenti tossici a Pianura. Un ruolo essenziale con un doppio obiettivo: sveltire la burocrazia locale, abbattere costi e controlli onerosi. C’è anche questo nell’inchiesta sulla discarica di Pianura, quella firmata dal pm Stefania Buda che punta l’indice contro continui sversamenti di ogni genere di rifiuto («tossici» e «pericolosi» compresi) in arrivo dal nord. Scorie industriali e ospedaliere zeppe di amianto, seppellite in via Contrada Pisani, attraverso il più semplice dei sistemi: grazie al visto della Provincia di Napoli, che in quegli anni rendeva «clean» anche il peggiore sversamento di rifiuti. «Clean» (pulito) al punto tale da rendere le aziende settentrionali assolutamente immacolate rispetto alla giustizia. «Clean», grazie al visto di Palazzo Matteotti. Qualcosa di simile sta venendo fuori in un’altra indagine della Procura di Giovandomenico Lepore, che ipotizza il reato di disastro per gli sversamenti avvenuti a Villaricca. Pianura, dunque. Fascicolo 1499/08, la lista nera è un dato di fatto. E non manca il ruolo della camorra. Niente sangue, niente droga o racket. Qui sul versante occidentale di Napoli, a cavallo tra anni Ottanta e Novanta, c’erano imprenditori provetti, specializzati nel traffico di rifiuti speciali e pericolosi. Sapevano proporsi al nord con un campionario competitivo, prezzi stracciati a chi sversava a Pianura. Un dato acquisito, con tanto di sentenza passata in giudicato, stando agli inquirenti napoletani: il prezzo offerto alle aziende del nord per scaricare a Pianura era cento volte inferiore rispetto a quello di qualsiasi altro stabilimento o discarica del nord. Con tanto di tangente a chi chiudeva un occhio per «legalizzare» sversamenti abusivi. Per almeno cinque anni, le province di Milano, Torino, Pavia, Venezia e di altri capoluoghi del nord industrializzato (ma c’è anche tanto sud) chiedevano e ottenevano di seppellire alle porte di Napoli i propri rifiuti. Quello che altrove costava un milione, a Napoli diecimila lire. E non c’è solo Pianura. Un’altra inchiesta punta a fare chiarezza sugli sversamenti avvenuti a Villaricca. In questo caso non c’è la prova di una lista di aziende, ma le condizioni del cratere di Napoli nord sembrano simili a quelle del versante occidentale. Una «piscina di percolato a rischio Vajont», si legge in un’intercettazione ambientale. Tant’è che il titolare del fascicolo - il pm Liana Esposito del pool dell’aggiunto Rosario Cantelmo - punta a disporre una maxiperizia per accertare origine e qualità degli sversamenti consumati a Villaricca. Anche in questo caso il primo reato ipotizzato è quello di disastro, dopo una class action che risale allo scorso febbraio. Centinaia di firme e un pool di legali che hanno strappato un primo successo, quello di tenere fuori Villaricca dai piani immediati del commissariato di governo. Una mossa che ha spostato su Chiaiano la possibilità di aprire una discarica di Stato.