Ecomafia globalizzata Nuove vie nei traffici di rifiuti
Il fenomeno ha le sue radici nei viaggi delle navi di veleni verso i Paesi più poveri, dove le industrie occidentali smaltivano le scorie
In Africa arrivano i fusti pericolosi e non riciclabili, mentre nell'Europa dell'Est giungono le scorie tossiche. Tutto il resto, in Estremo Oriente
Un'operazione lunga due anni. Conclusasi nel porto di Taranto lo scorso 6 dicembre, quando gli uomini della Guardia di Finanza hanno fermato un'organizzazione transnazionale dedita al traffico globale di rifiuti plastici e vecchi copertoni. Tra gli arrestati, tutti in carcere, ci sono 4 cittadini cinesi: due di loro erano i referenti in Italia per le attività d'intermediazione e di raccolta. i container venivano spediti da diversi porti italiani: tra gli altri, Taranto, Palermo, Catania, Gioia Tauro, La Spezia, Napoli, Genova e Livorno. In totale sono stati sequestrati 114 container in tutta Italia, ma il volume del traffico ricostruito dagli inquirenti supera i 1.000 container in quasi tre anni. Un mercato, quello dei rifiuti, che ha imparato a parlare la lingua della globalizzazione. Le nuove rotte illegali dei rifiuti dimostrano una rinnovata intraprendenza della criminalità organizzata, a caccia di ogni tipo di materiale di scarto da destinare a quei paesi onnivori di ogni genere di materia prima. Un affare milionario che muove incessantemente navi porta container da un capo all'altro del globo. Solo due giorni prima, erano stati i carabinieri del Noe, coordinati dalla procura di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) a portare alla luce un traffico internazionale di rifiuti tra la Sicilia e il Senegal. Con l'ombra di Cosa nostra, da qualche anno sempre più convinta delle potenzialità economiche del ciclo illegale dei rifiuti su scala internazionale. Un fenomeno, quello dei traffici illeciti dei rifiuti, messo a nudo dal rapporto Ecomafia globale, presentato ieri a Roma nel corso della Conferenza sul traffico illecito di rifiuti organizzata dal Consorzio PolieCo, Legambiente e dall'Istituto Interregionale delle Nazioni Unite per la Ricerca sul Crimine e la Giustizia (Unicri). Il convegno è stato anche l'occasione per comunicare lo stato dell'arte in merito alla costituzione di un Osservatorio sui traffici internazionali di rifiuti promosso dal Consorzio PolieCo e da Legambiente. Dal 2001 a oggi le inchieste relative a traffici internazionali in partenza dall'Italia sono state 31, con 156 arresti e 509 denunce, 124 aziende sottoposte a provvedimenti giudiziari, e con il coinvolgimento di ben 22 Paesi esteri (10 europei, 5 asiatici, 7 africani): dalla Germania alla Cina, dalla Russia al Senegal. All'incontro era presente anche il ministro dell'Ambiente Corrado Clini che ha sottolineato come il traffico internazionale dei rifiuti sia un problema divenuto «oggi più pressante perchè il volume dei rifiuti è enorme. Come in qualsiasi altro settore, anche per i rifiuti l'illegalità rappresenta un danno alla competitività», ha osservato Clini, che ha definito positivo il fatto che «la Cina, verso cui si era consolidato il traffico, abbia adottato una norma stringente sull'importazio- ne dei rifiuti che sarà di grande aiuto per combattere il traffico internazionale». Un fenomeno, quello dei traffici internazionali di scarti, che affonda le sue radici nel più recente passato. Cioè quando le spedizioni verso i Paesi del sud del mondo di navi stracariche di veleni erano la norma e il dumping ambientale uno dei modi più usati per risolvere il problema dello smaltimento delle scorie prodotte dalle industrie, senza incidere sui bilanci delle aziende e senza disturbare gli affari. Viaggi che sfruttavano carenze legislative e di sistemi di controllo, instabilità politica, corruzione e malaffare. Una sostanziale deregulation che ha permesso il proliferare di broker e trafficanti di professione che velocizzavano e moltiplicavano i viaggi e gli scarichi, senza paura di finire nei guai con la giustizia. Fino al 1989, quando veniva firmata la Convenzione di Basilea, entrata in vigore nel 1992 e ratificata fino a oggi da 138 Paesi - gli Stati Uniti sono ancora inadempienti - , che regolamenta i movimenti transfrontalieri di rifiuti, vietando in linea generale l'esportazione verso i Paesi in via di sviluppo (quelli che non fanno parte dell'Ocse) e prevedendo un sistema di accordi bilaterali per disciplinarne i movimenti. In particolare, la Convenzione consente le spedizioni in questi paesi solo di alcune tipologie di rifiuti destinate al recupero, mai al mero smaltimento. Anche se la prassi quasi mai ha seguito la regola. Per aggirare la Convenzione di Basilea, i trafficanti fanno ricorso alle triangolazioni tra paesi e alla falsificazione dei documenti di accompagnamento dei carichi (la tecnica del giro-bolla). Container carichi di veri e propri rifiuti, spacciati alle frontiere come fossero materie prime seconde o scarti di lavorazione, passano di mano in mano per far perdere le loro tracce, da un intermediario a un altro, da un paese a un altro: Italia-Germania-Olanda-Hong Kong-Cina, ad esempio. Di regola, cinque, sei, sette passaggi per carico. Nel nostro Paese il percorso criminale transfrontaliero inizia, solitamente, dalle grandi piattaforme logistiche che rastrellano ogni genere di scarto, anche quelli provenienti dalla raccolta differenziata, per destinarli all'estero (quasi sempre con la dicitura falsa di sottoprodotti). «A differenza di qualche anno fa, i trafficanti internazionali di rifiuti non esportano oltre confine solamente scorie tossiche non riutilizzabili, come melme acide, scorie chimiche o radioattive - ha commentato Stefano Ciafani, vicepresidente nazionale di Legambiente - ma materiali da riutilizzare, in aperta violazione sia delle leggi, sia delle regole di libero mercato, sfruttando a proprio vantaggio le potenzialità economiche degli scarti e scaricando i costi sulla collettività». Dalle indagini concluse negli ultimi 5 anni emerge una sorta di specializzazione internazionale nei traffici internazionali di rifiuti. Nei paesi africani arriva di tutto: fusti con sostanze pericolose e non riciclabili, insieme a auto rottamate, Raee e materiali ferrosi, principalmente rame. Nei paesi dell'Est e Centro Europa giungono rifiuti destinati illegalmente ai termovalorizzatori e alle discariche (sfruttando leggi sullo smaltimento dei rifiuti più permissive), ancora auto rottamate e varie tipologie di scorie tossiche. Unaltra rotta è quella adriatica, tra l'Italia e la Romania. Ma a fare la parte da leone sono i paesi dell'Estremo oriente e, in particolare, la Cina nei cui porti giungono ogni anno migliaia di container carichi di rifiuti di ogni genere - prevalentemente plastica, carta, metalli, legno, Raee - destinati alle miriadi di piccole e medie aziende dell'entroterra dove verranno riciclati al di fuori di ogni legge e senza alcun trattamento. I traffici illegali di rifiuti rappresentano, insomma, uno degli aspetti più critici della globalizzazione e più difficili da contrastare, almeno senza mettere in discussione gli stessi fondamenti del commercio globale. Dove in gioco non c'6, come si è già accennato, soltanto la salute dell'ambiente e quella dei cittadini, ma anche dell'economia legale.