«Io, re del cassonetto. Ma non nella mia Napoli»
BATTIPAGLIA PRODUCE contenitori per l'immondizia, in tutto il mondo e per tutto il mondo; i più leggeri e innovativi sul mgrcato, riciclabili al 100 per cento. E il maggior consumatore di plastica d'Europa. Ha la sede a poche decine di chilometri da Napoli, e dunque potrebbe rifornire la capitale morale' della spazzatura a chilometri zero. Con 350 dipendenti nel mondo, 130 in piena stagione solo a Battipaglia più un'altra cinquantina in due stabilimenti nei dintorni e un fatturato superiore ai 100 milioni, è una delle realtà industriali e occupazionali più importanti della Campania.
EPPURE il capoluogo campano è l'unico posto in cui Jcoplastic non vende nemmeno un cassonetto. Perla verità ne vendette in passato, ma non furono pagati; e quindi «non ne venderà più», giura il titolare Antonio Foresti. Ma è l'Italia in generale ad essere per Jcoplastic «ingrata patria»; il Paese «con le regole più assurde, i capitolati d'appalto più strampalati e una normativa autolesionistica che inibisce il riciclaggio» dice. Il risultato? Jcoplastic invade il mercato estero con i suoi contenitori ecologici e risparmiosi, mentre l'Italia è inondata «dagli avanzi di magazzino dei miei concorrenti stranieri, come in una grande discarica».
AMMINISTRAZIONI pubbliche che pretendono «palstica vergine» con grande spreco di materia prima (il polietilene ad alta densità è derivato dal petrolio); Comuni che impongono colori sgargianti, di nuovo impedendo l'uso di materiale ricliclato; smaltimenti fai da te' costosi e contorti quando basterebbe un accordo di resa direttamente al fornitore, come Foresti propone da anni avendo persino sollecitato a Roma una legge in tal senso, per eliminare tanti sperperi. Questo il campionario delle anomalie italiane. «Ho cinque aziende all'estero — spiega — dove riesco ad utilizzare plastica riciclata fmo al 40-45% del fabbisogno. Qui in Italia non arrivo al 20%, un po' perchè non riesco a reperire il rottame, un po' perchè il cliente pubblico impone l'utilizzo della plastica vergine. Ma le sembra logico?». L'ultima beffa è di questi giorni: la finanziaria pubblica Sviluppo Italia ha fmanziato con 17 milioni un imprenditore greco per impiantare un'azienda concorrente, in Toscana. Ora l'impresa pencola, e Foresti è stato invitato a subentrare. «Mi toccherà comprarla — brontola —, sennò arriva qualcuno più agguerrito a prendersi quelle macchine nuovissime».
IL BUSINESS della plastica è 'capital intensive': tant'è povero il prodotto, tanto sono costosi e avanzati gli impianti, 3,5 milioni ogni pressa, l milione ogni stampo, e ne servono a decine. Poi ci sono i brevetti: Foresti ne ha messi a punto parecchi solo per ridurre del 20% il peso di un contenitore e per realizzare un robot che applichi quattro adesivi su ogni bidone. Ecco perchè, alla fine, la partita è circoscritta a pochi giocatori in Europa, tre soltanto in Italia dove Jcoplastic guida incontrastata la classifica. Eppure i Foresti, un'intera famiglia di imprenditori con una collezione di aziende, ci sono entrati quasi per caso. Lombardi d'origine, si trovarono in Campania al seguito del pomodoro, anzi dei barattoli per conserva dei quali, con l'azienda di famiglia Faba, erano indiscussi re d'Europa. Faba fu poi venduta a una multinazionale, ma Antonio, oggi 40enne, si era già innamorato del sole napoletano e del mare caprese. E non volle più andarsene. Cosl parte del gruzzolo incassato fu utilizzato per comprare Jcoplastic, liquidare il socio dopo mille battaglie, rilanciarla, farne il colosso che è oggi. Non solo nel pattume, ma in tutti i contenitori plastici per ortaggi (dai campi ai supermercati) e per componentistica industriale.