Nell'area del resort rinvenuti sacchi di juta pieni di polvere grigia

Rifiuti radioattivi sepolti dal clan sotto il «tempio» della movida

Castelvolturno, il pentito indica il luogo: i rilevatori impazziscono
8 ottobre 2011 - Rosaria Capacchione
Fonte: Il Mattino

Erano là, proprio dove li avevano cercati per anni e anni. Erano sfuggiti ai sommozzatori, al sommergibile teleguidato fatto arrivare - era il 1997 - inutilmente da Genova, ai rilevatori di metalli. Erano sfuggiti persino alle analisi chimiche e batteriologiche, che avevano certificato la buona qualità dell'acqua e l'idoneità dei laghetti all'uso sportivo e ricreativo pubblico. Erano coperti da una coltre di cemento armato, molto più recente dei sacchi di juta pieni di polvere grigia e nera trovati ieri mattina dagli sbalorditi poliziotti della Squadra mobile di Casal di Principe e dai preoccupatissimi vigili del fuoco, che hanno visto salire fino al livello massimo la lancetta dei rilevatori di sostanze radioattivi o chimicamente pericolose: settemila metri quadri di veleno, la discarica dei bidognettiani di Villa Litemo e Castelvolturno. Quella piazzola cementificata oggi è il parcheggio del resort Hyppo Kampos, centro sportivo frequentatissimo fino al sequestro datato 2010: i collaboratori di giustizia avevano raccontato che il titolare, Sergio Pagnozzi, aveva costruito piscine, bungalow e ristoranti con i soldi di Nicola Schiavone, il figlio del capo dei Casalesi. C'era anche Pagnozzi, ieri mattina, ad assistere agli scavi. Lui, i poliziotti, il pm antimafia Catello Maresca, i tecnici dell'Arpac, i vigili del fuoco. Tutti lì per controllare se quanto aveva raccontato Emilio Di Caterino, uomo della pattuglia setoliana, corrispondeva al vero. E cioè, che aveva utilizzato le sponde dei laghetti di via dei Diavoli, a Mezzagni, come fossi dove far sparire l'oro avvelenato che arrivava dalle industrie del Nord.
Di Caterino non ha mentito. Prima che i vigili del fuoco sgomberassero l'area, si è fatto in tempo a vedere che la polvere era stata imbustata a Bergamo. Polvere di origine sconosciuta: forse amianto, forse cristalli di ammoniaca, forse scorie radioattive (oppure tutte e tre le cose insieme, come hanno ipotizzato i tecnici) provenienti da industrie metallurgiche lombarde. Il sopralluogo, per ragioni di sicurezza, è durato solo per il tempo indispensabile a recintare e sequestrare l'area. Provvedimento notificato sia a Sergio Pagnozzi, sia al custode nominato dalla Dda che dallo scorso anno ha in affidamento alcune delle società di gestione del resort. Nelle prossime ore saranno effettuate le analisi sulle scorie, indagini chimiche che saranno estese a tutta l'area della struttura. Il sopralluogo di ieri mattina conferma quanto da quasi vent'anni viene denunciato da associazioni ambientaliste e dagli stessi collaboratori di giustizia. Già nel 1992, infatti, l'area compresa tra la discarica Resit di Parete-Giugliano, gli impianti dei fratelli Vassallo a Villaricca e i laghetti di Castelvoltumo, quelli che si sono formati in virtù del riaffioramento della falda provocato dagli scavi della sabbia, era stata indicata quale luogo di smaltimento dei rifiuti industriali che il clan dei Casalesi importava dalle regioni del Centro-Nord. Area localizzata dai carabinieri di Napoli all'epoca dell'operazione Adelphi (che accertò il ruolo del clan Bidognetti, attraverso Gaetano Cerci, e delle famiglie Schiavone e 'ovine). Nel 1993 anche Carmine Schiavone, primo pentito dei Casalesi, aveva indicato i laghetti abbandonati conte discariche illegali di fusti pieni di sostanze chimiche. E poi via via, altre denunce, come quelle dettagliatissime di Dario De Simone, datate 1996, che aveva raccontato nel dettaglio il sistema societario e le modalità di partecipazione della camorra al grande business delle eco-mafie, inventato proprio dai Casalesi tra il 1988 e il 1989. Bisognerà arrivare alla primavera del 2008, e al pentimento di Gaetano Vassallo, imprenditore del settore e grande accusatore del coordinatore regionale del Pdl Nicola Cosentino, per trovare i primi riscontri. Cioè, per verificare che effettivamente alcuni dei siti indicati non erano «normali» discariche ma sversatoi di veleni. Lo scorso anno, dopo il sequestro dell'Hyppo Kampos, la Procura antimafia di Napoli (i pm Antonello Ardituro e Alessandro Milita) aveva commissionato accertamenti specifici anche sull'area di Mezzagni. Ebbene, la perizia tecnica del geologo toscano Giovanni Balestri, ha dimostrato quanto era già parzialmente visibile attraverso le vecchie immagini fotografiche e quanto era stato ipotizzato nel lontano 1991, dopo l'intossicazione da rifiuti radioattivi dell'autotrasportatore Mario Tamburrino: l'invaso era stato parzialmente riempito dai rifiuti smaltiti illegalmente, confermando l'autodenuncia di Vassallo del 30 luglio 2008. E cioè che il grande sversatoio di rifiuti tossici «...si trova a Castelvolturno ed è nel luogo ove è stata realizzata successivamente una discoteca piuttosto nota, l'Hyppo Kampos (...) gli altri due invasi poco distanti sono stati interamente riempiti dai rifiuti. Su uno di questi è stata realizzata la discoteca proprio insistente sulla discarica poi colmata».

Note: Il ritrovamento Li hanno cercati per anni senza trovarli

Ritrovati sotto una coltre di cemento dai poliziotti di Casal di Principe Rosaria Capacchione
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