Rivolta di Cava Sari, 31 a processo L'accusa: una regia dietro gli scontri
«Mamme vulcaniche» non indagate
A distanza di un anno dalle proteste contro le discariche nel Parco Nazionale del Vesuvio, ci sono i primi risultati delle investigazioni della Digos della Questura di Napoli. Sono 31 i manifestanti che ieri mattina si sono visti notificare l'avviso di conclusione delle indagini preliminari condotte dai magistrati della Procura di Torre Annunziata. Gli indagati vivono nelle città di Terzigno e Boscoreale, ben 16 appartengono al Movimento in Difesa del Territorio Area Vesuviana, mentre tutti gli altri sono cittadini che non fanno capo ad alcuna organizzazione. Al centro dell'inchiesta i violenti scontri avvenuti tra gli attivisti e le forze dell'ordine nell'arco di quattro mesi, da settembre a dicembre del 2010.
Era il cosiddetto «autunno caldo» delle contestazioni contro le discariche, giorni in cui le città vesuviane a ridosso dello sversatoio Sari rimasero a lungo blindate, perennemente strette nella morsa della guerriglia. In quel periodo, per chiedere la chiusura della Cava Sari e scongiurare l'apertura della più ampia Cava Vitiello, vi furono anche diverse occupazioni di municipi, scuole e ferrovie. I reati contestati, dunque, vanno dall'interruzione di pubblico servizio, occupazione di suolo pubblico e fino a quelli ben più gravi di minaccia, resistenza e lesioni a pubblico ufficiale. Secondo i magistrati tutte le azioni illegali, documentate attraverso testimonianze di agenti e militari, filmati e persino intercettazioni telefoniche, sarebbero legate da un unico filo condultore, quello della lotta organizzata contro lo discariche. Ieri, però, a poche ore dalla notifica degli avvisi, sono arrivate le prime reazioni da parte degli attivistimdagati. Tra questi, c'è anche Angelo Genovese, professore di Scienze Biologiche alla Federico II: «Con i 31 avvisi di garanzia - commenta - si avvia una nuova fase di repressione del movimento di Terzigno nel tentativo di costruire l'ipotesi di un disegno criminoso, cioè si vuole per forza far confluire sotto un'unica regia, le proteste isolate e di vario genere compiute legittimamente dai cittadini per resistere ad un'aggressione al nostro territorio. Resto fiducioso nella magistratura che valuteràle nostre posizioni». I manifestanti non mostrano alcun segno di cedimento e lo stesso Genovese a . unge: «È un fatto che non ci indebolisce, anzi ci rafforza nella nostra unità d'intenti».
Da ieri, infatti, la macchina organizzativa del collettivo è di nuovo in moto poiché è stata annunciata una conferenza stampa per oggi al Gran Caffè Vesuvio di Terzigno, a pochi passi dal presidio di via Panoramica. Là dove si concentrarono la maggior parte delle rivolte con vandalizzazioni e incendi agli autocompattatori, sassaiole contro carabinieri, poliziotti, militari dell'Esercito e dove furono ritrovate, proprio dalla Digos, 12 molotov. «Più volte abbiamo chiesto alla frangia più violenta dei manifestanti di evitare azioni che avrebbero penalizzato la protesta pacifica e probabilmente avuto conseguenze giudiziarie - ha detto il sindaco di Boscoreale Gennaro Langella - mi spiace per chi essendo esasperato è finito suo malgrado nell'inchiesta». «Ricordo bene lo stato d'animo di tutti in quei giorni drammatici - commenta invece il presidente della Provincia Luigi Cesaro - . Ognuno aveva ragione e ognuno torto nello stesso momento. Ma l'esperienza ci è servita. Anzi, prendendo proprio spunto da quanto fu deciso allora per la zona rossa, abbiamo impostato una linea di condotta e di programmazione che ha tenuto maggiormente conto delle realtà locali». Solidarietà agli indagati dalle «mamme vulcaniche»: «Non riteniamo sia giusto che paghino per una lotta che ha coinvolto tutti e per la quale loro hanno dato tanto» ha detto la portavoce Luisa Lettieri.