Bagnoli, l'inchiesta che rischia di affondare l'America's Cup
ROMA — Il timore, all'interno di una Procura che si sente addosso gli occhi di tutt'Italia, è che (anche) quest'inchiesta passi per una «ricerca di pubblicità e clamore», per dirla con le parole del capo del pool antimafia di Roma Giancarlo Capaldo. E già, perché c'è, nell'ufficio dei pm napoletani, un fascicolo finito ora all'attenzione della Commissione d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti. È l'indagine (nota) sulla falsa bonifica di Bagnoli, di cui s'è già abbondantemente scritto e parlato. Quel che non s'è raccontato, però, sono i tempi di quegli accertamenti. E così un'inchiesta aperta nel 2009, e cioè in tempi non sospetti, rischia di provocare un intervento della magistratura alla vigilia del- l'America's Cup, con tanto di risonanza mondiale e prevedibili accuse di «spettacolarizzazione» ai pm, che è facile ipotizzare saranno censurati per aver cercato «pubblicità» approfittando dell'evento. La storia dell'inchiesta che rischia di aprire una falla nel-l'America's Cup, però, è molto più complessa. E, per capire perché si sia atteso tanto prima di intervenire, bisogna fare un passo indietro. Stefania Buda, sostituto procuratore di Napoli, sulla bonifica di Bagnoli inizia a indagare nel 2009. Le ipotesi di reato sono gravissime: disastro ambientale, truffa aggravata, falso e una serie impressionante di violazioni del codice ambientale. Il pm passa al setaccio l'intero ex sito industriale di Bagnoli. E ritiene che gli attestati di avvenuta bonifica, che pure ci sono, siano falsi. I carabinieri iniziano ad acquisire gli atti, nel mirino finiscono esponenti di Ministero dell'Ambiente, Comune, Provincia, Arpac, Bagnolifutura (tutte gestioni precedenti a quelle attuali). Un geologo dell'università Federico II, Benedetto De Vivo, viene incaricato di fare le analisi. Scopre che, in barba agli attestati, nei suoli dell'area ex Italsider ci sono tutti gli inquinanti possibili. E lo conferma anche un laboratorio di ricerca del Canada, dove quei campioni vengono inviati per riscontrare i risultati. Analoga conclusione, poi, la raggiunge la consulenza epidemiologica. S'indaga anche sulla colmata, ma lì il fascicolo si fa più scarno. Difficile individuare il responsabile di un reato, se è vero che già nel 2005 uno studio commissionato all'Icram dal Ministero dell'Ambiente rilevava l'alta percentuale di inquinamento: considerando che i soldi stanziati non sono stati ancora spesi, tutt'al più si potrebbe procedere per omissione d'atti d'ufficio. Scenario da valutare, insomma. Il resto, invece, sono reati che la Procura ritiene di poter provare. E, siccome l'area ex Italsider è considerata una «bomba ecologica», c'è da intervenire subito. Quell'intervento, però, non arriva. E sì, ché quando l'inchiesta è ormai alle fasi finali, si scopre che sulla stessa vicenda indagano anche altri tre pm. Un fascicolo ce l'ha Ettore La Ragione (quello sulla balneabilità, l'unico che andrà a sentenza), un altro Giuseppe Noviello e Paolo Sirleo, che in quel momento si occupano del processo a carico di Antonio Bassolino e dei vertici di Impregilo. I due pm indagano sulla colmata e ipotizzano anche il reato di traffico di rifiuti (motivo per il quale non sarà necessario «avvisare» gli indagati), ma per il procuratore Giovandomeni - co Lepore la loro inchiesta è connessa con quella della Buda. Così, al termine di una tesissima riunione tra capo del - l'ufficio e tutti i pm, i due procedimenti vengono riuniti. L'inchiesta su Bagnoli si ferma lì. Impossibile chiedere misure finché non vengono svolti ulteriori accertamenti. E un nuovo stop arriva poi con il trasferimento di Noviello e Sirleo. Il procuratore delega ad affiancare Stefania Buda un altro pm esperto in materia ambientale, Federico Bisceglia. L'inchiesta riparte qualche settimana, coordinata da Francesco Greco, e i pm iniziano a studiare i provvedimenti da adottare per mettere un freno ai rischi derivanti dall'inquinamento a Bagnoli. Analizzando le mosse fatte dalla Procura in inchieste analoghe, non è fantagiudiziaria ipotizzare che i titolari dell'inchiesta possano aver pensato di chiedere al gip il sequestro dell'area. Una settimana fa, però, la doccia gelata. Il sindaco Luigi de Magistris, da Plymouth, annuncia che Napoli ospiterà le regate preliminari dell'America's Cup. E il sito che dovrà ospitare l'evento è proprio quello sott'inchiesta. Eccolo spiegato, allora, il timore della Procura. Dovessero chiedere al gip il sequestro dell'area da qui a un mese, si arriverebbe a fine ottobre. E altri tre mesi, come accade solitamente per vicende così complesse, servirebbero al giudice per leggere gli atti e decidere. Insomma, i sigilli potrebbero arrivare nel bel mezzo dei preparativi della manifestazione. E, insieme ai sigilli, arriverebbero anche le (prevedibili) accuse ai magistrati: gli diranno che sono malati di protagonismo, che approfittano dell'America's Cup per spettacolarizzare le loro inchieste, che creano un danno alla città. Ecco perché, oggi, l'inchiesta sulla «bomba ecologica» di Bagnoli rischia di diventare una bomba a orologeria per la Procura.