Napoli-Cina, il mistero dei rifiuti «fantasma»
La criticità del sistema è nella sua competenza, esclusivamente nazionale. Oltre i confini dell'Italia Sistri, il sistema telematico di controllo dei rifiuti che dovrebbe entrare in funzione a febbraio, non arriva e non può arrivare, e in tempi di economia globalizzata e di trasporti quasi esclusivamente transfrontalieri, non è un difetto da poco. Significa, questo limite, che i rifiuti non pericolosi potranno essere controllati solo all'interno del territorio nazionale ma che una volta arrivati in Francia o in Germania, potranno prendere agevolmente rotte sconosciute. Significa che l'immondizia napoletana, tanto per fare un esempio, potrà servire da viatico a scorie tossiche o detriti industriali trasportati clandestinamente all'estero, senza che nessuno possa scoprirlo. E significa pure, ipotizzano negli uffici della Procura di Napoli, che le sedi di corrispondenza delle grandi società internazionali di trasporto (specialmente quelle marittime) che hanno base in Campania e succursali in mezza Europa, potrebbero fare da tramite per il contrabbando di rifiuti speciali che solo apparentemente risultano affidati per lo smaltimento a ditte italo-francesi, olandesi, tedesche. Smaltimento soltanto cartolare, con destinazione finale la Cina e la Corea, i più grandi produttori di falsi ma anche - si sospetta - i maggiori acquirenti di componentistica per computer e polimeri, cioè materie plastiche, che nessuno sa ancora come distruggere. Il sospetto è che questo materiale, il cui costo di smaltimento è piuttosto elevato, in realtà venga venduto di frodo e imbarcato sui container che sulla carta, rientrando in Asia, viaggiano vuoti. Un affare da milioni di euro. Qualche cifra: in Italia si producono mediamente quasi 15 chili di scarti tecnologici ed elettrici pro capite all'anno, cioè 900.000 tonnellate di rifiuti tecnologici altamente inquinanti. I costi legali di smaltimento si aggirano intorno ai 90 euro a tonnellata. Quindi, rispettando regole e procedure i produttori di Raee (acronimo che rappresenta i rifiuti elettrici ed elettronici) dovrebbero spendere tra gli 800 e i 900 milioni di euro all'anno. Costo che viene trasformato in guadagno netto se invece dello smaltimento si opta per l'imbarco sui container diretti in Cina: a tariffe molto più modeste o, addirittura, attraverso una compravendita. Container che partono da Napoli, Genova, Salerno, Gioia Tauro, ma soprattutto da Napoli dove ha le sue basi la cinese Cosco Paci-fic Ltd., quinto terminalista mondiale per movimentazione di container con 35 milioni di teu (unità di misura che corrisponde a un box metallico lungo 6 metri, alto e largo 2,40). Cosco, che a Napoli ha una partnership paritetica al 46 per cento con Msc, ha le sue basi anche a Marsiglia-Fosse, Anversa, Rotterdam, Port Said. Ma è soltanto una delle tante sigle del Dragone che operano nel Mediterraneo e Europa più in generale. La Hutchison Port Holdings di Hong Kong, il primo terminalista del mondo (67,6 milioni di teu nel 2008), è già presente a Taranto, Alessandria d'Egitto, Izmir, Barcellona, Amsterdam, Rotterdam, Stoccolma, Gdynia in Polonia; Felixstowe, Harwich e London Thamesport in Uk. La Psa International (Singapore), terzo terminalista globale (59,7 milioni di teu), è a Genova-Voltri, Venezia, Mersin in Turchia, Tangeri, Sines in Portogallo, Zeebrugge e Anversa in Belgio, Great Yarmouth in Gran Bretagna. La China Shipping Container, terminal e navi, è sbarcata a Damietta, in Egitto. Stiamo parlando di colossi del trasporto via mare, che coprono le stesse rotte degli ecomafiosi internazionali e che stanno risentendo in maniera significativa della crisi dei mercati, con eccedenze di capacità che alcune stime valutano intorno al 30 per cento dei container disponibili. Il viaggio di ritorno a pieno carico, a maggior ragione se clandestino, può trasformarsi, dunque, anche per i cinesi in un grossissimo affare.