«Ma non era un collaboratore impossibile proteggere tutti»

Cantone, ex pm: strategia raffinata dei Casalesi
3 giugno 2008 - Gigi di Fiore
Fonte: Il Mattino

Da otto mesi è al lavoro in Cassazione. Ma dal 1999 fino al 2007, Raffaele Cantone è stato alla Dda di Napoli nel pool investigativo sul clan dei Casalesi. E soprattutto ha gestito, con Alessandro Milita, le indagini sul consorzio Ce4 in cui figurava Michele Orsi.
Dottor Cantone, Michele Orsi era un collaboratore di giustizia?
«Premetto che lavoro in un altro ufficio e parlo ormai da esterno alla Procura. Sento però necessario fornire un contributo di chiarezza su quanto ho letto, anche per il rispetto dovuto a chi è stato ucciso. Perciò, va detto subito che giuridicamente Orsi non è mai stato un collaboratore di giustizia».
Per quanto ne sa, ritiene allora ingiustificate le polemiche sulla mancata protezione a Orsi?
«Non entro nel merito delle polemiche, ma credo che per capirne anche il senso ci sia da fare chiarezza sul ruolo processuale di Orsi. Attualmente era un imputato, finito in carcere per truffa aggravata dall’aver agevolato il clan dei Casalesi. Aveva sostenuto più interrogatori, accettando di rispondere. Si era sempre e solo difeso, nulla di più».
È vero che era il Salvo Lima delle inchieste sui Casalesi?
«Queste sono semplificazioni mediatiche un po’ forzate. Era invece un imprenditore, un ingegnere che, come tanti altri imprenditori, riteneva di essere una vittima, non un complice dei clan. Vittima di estorsioni. E aveva fornito elementi a sostegno di questa sua difesa, fornendo qualche chiave di lettura diversa da quelle dell’accusa».
Per le sue dichiarazioni poteva essere in pericolo?
«Non entro nel merito, non ho elementi aggiornati. Va detto che, però, molti imprenditori si difendono negli interrogatori come si difendeva Orsi. Impossibile proteggerli tutti. Certo, a posteriori, facile dire che andava protetto, perchè poteva essere visto dai clan come una minaccia».

Che idea ha dell’attuala strategia di guerra dei Casalesi?
«È una strategia militarmente molto raffinata. Si colpiscono persone non protette, con azioni dal grosso impatto. Azioni contro due parenti di pentiti, un testimone come Noviello, un potenziale accusatore del clan come Orsi. Strategia contro chi danneggia i disegni dei Casalesi, li accusa nei processi, o può pensare di farlo».
Una potenziale strategia stragista, come dicono molti?
«Una strategia che guarda al rischio minimo con il massimo dei risultati in termini di messaggi all’esterno. I bersagli individuati, come dicevo, lo dimostrano».
Molti luoghi diversi scelti per attuare gli agguati dimostrano qualcosa?
«Dimostrano che il controllo del territorio è indispensabile, ma impossibile da attuarsi in modo massiccio».
I riflettori accesi sui Casalesi possono contribuire a provocare delle loro reazioni sempre più violente?
«Visto le presenze alla manifestazione di solidarietà alla famiglia di Domenico Noviello, non più di un centinaio di persone senza esponenti istituzionali o politici, a questo punto devo dire che i riflettori e il clamore sono più un fatto mediatico che di risposta della società civile».
L’attenzione alla mafia casertana, ignorata per anni, non rischia di essere reazione solo emotiva priva di conseguenze concrete nel tempo?
«Il vero problema, in queste vicende, è il riscatto sociale. Dopo la morte di Falcone e Borsellino, ci fu un serio movimento antimafia in Sicilia. Non lo vedo dalla nostre parti. Soprattutto in provincia di Caserta, mi sembra imperi ancora in molti un senso di passiva accettazione».
È stato giusto autorizzare l’intervista della pentita Anna Carrino?
«Non ho elementi per dare valutazioni. Certe decisioni nascono da diversi parametri che solo chi si trova in quel momento all’interno degli uffici della Dda può possedere in modo completo».

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