La campagna di primavera dei Casalesi per fermare le «cantate» dei collaboratori

2 giugno 2008 - Giovanni Bianconi
Fonte: Corriere della Sera
Fossero dei terroristi, come i brigatisti di trent'anni fa, l'avrebbero chiamata «campagna di primavera», con tanto di comunicati per spiegare strategie e ragioni degli omicidi. Ma i Casalesi non hanno bisogno di scrivere, né di rivendicare. I messaggi delle loro vendette trasversali e dei delitti-avvertimento sono troppo chiari: per i destinatari come per gli inquirenti. 
Tra i primi ci sono gli arrestati, per dissuaderli dalla tentazione di «farsi pentiti», e gli imprenditori taglieggiati che avessero l'idea di diventare testimoni d'accusa. Collaborare con lo Stato non si deve, chi ci prova sa quello che rischia. È la risposta del clan alle operazioni di polizia e carabinieri che di recente hanno tolto dalla strada molti capi e sottocapi dell'organizzazione.
La «campagna» è cominciata un paio di settimane dopo gli arresti degli affiliati al clan Bidognetti (e i loro alleati) del 17 aprile scorso, resi possibili anche dalle dichiarazioni di Anna Carrino, l'ex donna del capoclan Francesco Bidognetti, chiamato Ciccio 'e mezzanotte. Mostrata perfino in tv, in interviste in cui invitava Ciccio a seguire la sua stessa strada, già intrapresa dal cugino Domenico Bidognetti. Strada pericolosa, mandarono a dire i Casalesi rimasti liberi quando il 2 maggio, nelle campagne di Castel Volturno, hanno ammazzato Umberto Bidognetti, 69 anni, padre di Domenico. Nell'elenco degli arrestati di aprile figurava anche un soldato del clan, Giuseppe Setola, nato a Santa Maria Capua Vetere 37 anni fa. È considerato un killer, e si trovava in carcere quando un giudice gli ha concesso il ricovero in una struttura di Pavia per curare una malattia agli occhi che non gli ha impedito di evadere subito dopo. «Da quando lui è tornato in circolazione è partita la catena di omicidi», confida un investigatore, facendo balenare un suo possibile ruolo nelle azioni di fuoco dei Casalesi. Dopo l'uccisione di Umberto Bidognetti, è stata incendiata la fabbrica di materassi del presidente dell'associazione antiracket di Santa Maria, e qualche giorno più tardi, il 16 maggio, a Castel Volturno è stato assassinato Domenico Noviello, imprenditore che nel 2001 s'era ribellato al racket. Il processo scaturito dalle sue accuse era una storia chiusa, ma i Casalesi si sono ripresentati a sette anni di distanza. Per lanciare un avvertimento agli imprenditori che potrebbero seguire il suo esempio, mettendo così in discussione il potere e il controllo sociale esercitato dal clan.
I sospetti degli investigatori si concentrano anche per questo fatto su Setola e su un altro giovane latitante, Alessandro Cirillo (già arrestato nel 2001, insieme al fratello, proprio a seguito delle dichiarazioni di Noviello). Che insieme a Giovanni Letizia (non ancora ventottenne) formano il terzetto dei principali ricercati — ufficialmente per altri reati — per tentare di fermare la catena di delitti imputati al clan. Proseguita tre giorni fa, con il ferimento di Francesca Carrino, nipote della pentita Anna: poco dopo le 23 di venerdì due persone si sono fatte aprire la casa dove abita anche Assunta Carrino, madre di Anna, dicendo di essere agenti della Direzione investigativa antimafia. Ha aperto Francesca e le hanno scaricato addosso due caricatori, prima che potesse ritrarsi ed evitare di essere ammazzata. Nemmeno quarantotto ore più tardi, a Casal di Principe, è toccato a Michele Orsi.
Pentiti e testimoni non piacciono a Setola, che nel 1999 è stato intercettato più volte mentre commentava (anche con un altro Bidognetti, Aniello) gli arresti di alcuni presunti camorristi della zona. «Qualche bastardo di merda», diceva riferendosi a chi aveva consentito la retata, «qualcuno che si sta facendo qualche cantata ». E ancora: «Io penso che non scappano manco le creature. Solo così ci possono combattere questi cornuti... Ci deve stare per forza il pentito ». Negli ultimi tempi ce ne sono stati tanti, conseguenza delle indagini e delle catture; troppi per i Casalesi che hanno dovuto lanciare una «campagna» per evitare altre «cantate » e altri arresti.
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