Perizia sull'aria e scatta l'indagine sul caso di tifo
Un tempo l’aria di Napoli la vendevano gli scugnizzi nella zona del porto o della stazione centrale. Prima agli americani liberatori, poi agli emigranti costretti a lasciare la loro terra, infine - in tempi più recenti - ai turisti approdati in città in pieno rinascimento napoletano. Cambiano le epoche, cambiano gli scenari, ma l’aria di Napoli resta sempre al centro dell’attenzione, tanto da finire dritta in un’inchiesta giudiziaria. È di questi giorni, la decisione della Procura partenopea di affidare a un epidemiologo di fama internazionale uno studio - tra l’altro - della trasmissione in atmosfera di possibili germi o agenti patogeni provocati dall’accumulo dei rifiuti. Inchiesta per epidemia colposa, vicenda che vede coinvolto finanche il presidente della Regione Stefano Caldoro, c’è un passo in avanti da parte degli inquirenti: la decisione di assegnare una maxiperizia a un consulente tecnico d’ufficio per accertare i «possibili livelli di contagio epidemiologico» nell’ultima fase dell’interminabile emergenza rifiuti in Campania. Una mossa sperimentale, si parte dall’immagazzinamento di dati da portare in laboratorio e da acquisire come prova in un eventuale dibattimento. È in quest’ottica che l’aria di Napoli torna ad essere protagonista, grazie a una tecnica originale: l’incapsulamento dell’aria, appunto, per verificare eventuali trasmissioni di germi o agenti patogeni in grado di produrre incidenze di allergie e virus nella popolazione. Inchiesta condotta dal pool reati contro la pubblica amministrazione del procuratore aggiunto Francesco Greco e del pm Francesco Curcio, si parte dalla perizia assegnata a uno che di professione fa l’epidemiologo. Uno specialista del ramo, spesso in servizio con l’istituto superiore della Sanità, stretto collaboratore del ministero, a cui verrà affiancato un medico legale. Ma quello della bontà dell’aria di Napoli non è l’unico punto in discussione. Agli atti finisce anche un caso di contagio di tifo murino, un caso per il momento isolato, che finisce comunque al centro dell’inchiesta per epidemia colposa. Dagli anni bui del colera non si registrava la presenza di tifo murino, quanto basta ad acquisire le cartelle cliniche di un paziente ricoverato per oltre un mese in un reparto del secondo policlinico di Napoli. Qual è il punto in questione? Lo hanno spiegato tecnici e specialisti ai giornali, proprio nel commentare la questione del tifo murino: il contagio potrebbe essere provocato dalle pulci del pelo dei topi, la cui popolazione è data in aumento visti i cumuli di spazzatura inamovibili nell’area metropolitana. Ieri mattina, c’erano 1650 tonnellate di rifiuti non ancora raccolti. Il rischio è facile da immaginare: la spazzatura, i topi, il rischio che il tifo murino non rimanga un problema isolato. Niente allarmismi, ma tanta voglia di andare fino in fondo, di accertare, di capire. Analisi su cartelle cliniche, ma anche sul vissuto del paziente - residente non lontano dal centro cittadino - per accertare le cause del contagio. Poi, perizie a parte, c’è l’altra faccia dell’inchiesta: cosa è stato fatto per impedire cumuli di rifiuti? Cosa è stato fatto per impedire possibilità di contatto tra spazzatura e cittadinanza? Indagine complessa, che procede mentre si moltiplicano gli sforzi da parte degli enti locali per rendere vivibile il territorio e sanare l’emergenza. Spiega l’avvocato Alfonso Furgiuele, difensore del presidente della Regione Caldoro: «Stiamo fornendo tutta la documentazione necessaria in Procura, tutta l’attività amministrativa di queste settimane viene ricostruita in note dettagliate, che vengono spedite agli inquirenti. C’è piena volontà di collaborazione da parte del presidente Caldoro, per risolvere i problemi e per chiarire le proprie scelte amministrative». Governo della regione, pulci, topi, sacchetti ammassati in strada. Un fascicolo contenitore, che oggi punta all’aria di Napoli, quella che un tempo faceva sorridere i turisti e ora rischia di tenerli lontani dalla città.