Rifiuti speciali fuori regione, così la Lombardia si salvò

Negli anni '90 la grande crisi superata con accordi di solidarietà e inestimenti sugli impianti
10 luglio 2011
Fonte: Il Mattino

Negli anni Novanta Milano affrontò un’emergenza rifiuti simile a quella napoletana ma riuscì a risolverla, non senza difficoltà. Come? Il capoluogo lombardo mise in campo un sistema integrato basato sulla raccolta differenziata e il riciclo, ricorrendo – solo per un breve periodo – alla solidarietà delle regioni amiche. Il Comune di Milano per gestire il rifiuto realizzò un impianto di selezione, compostaggio e produzione di cdr (combustibile derivato da rifiuti) – più o meno come quelli che sono stati realizzati a Napoli, e non hanno funzionato perché non sono stati in grado di ottenere un compost e un cdr davvero riutilizzabili. Nemmeno Milano ci riuscì, peraltro. Del compost e del cdr che uscirono dall’impianto realizzato sull’area ex Maserati, infatti, non fu mai recuperato nemmeno un grammo. Quel compost e quel cdr invenduti, ormai diventati “rifiuti speciali”, potevano però essere legalmente smaltiti in impianti autorizzati collocati ovunque, e presero la strada del Friuli, della Puglia, della Campania, dovunque ci fossero discariche autorizzate. Il meccanismo era perfettamente legale nella forma, anche se ben lontano dallo spirito del cosiddetto “principio di prossimità e autosufficienza”, in base al quale i rifiuti urbani devono essere trattati nel territorio che li ha prodotti: i rifiuti urbani, appunto (circa 32 milioni di tonnellate, in Italia). Per quelli speciali (107 milioni di tonnellate), ossia i rifiuti prodotti dalle attività commerciali e industriali, vale l’obbligo di affidarli ad operatori autorizzati, ma non il principio di prossimità; se si tratta di materiali almeno teoricamente destinati al recupero, è del tutto lecito smaltire in Calabria o in Danimarca un rifiuto speciale prodotto da un’azienda veneta o marchigiana. In sé e per sé, niente di male, se non fosse che Milano prima, ma ancor oggi moltissimi operatori del Centro e del Nord, un po’ per necessità, un po’ per convenienza, hanno fatto largo ricorso alla pratica di realizzare impianti di cosiddetto “riciclaggio”, che in realtà non riciclano nulla, ma trasformano i rifiuti urbani in una merce destinabile alla vendita, che poi però non vuole nessuno. Se un produttore di mozzarelle non riesce a vendere il suo prodotto prima della data di scadenza, questo diventa un rifiuto speciale da smaltire. E il cdr e il compost milanesi presero a girare per l’Italia come rifiuto speciale, eludendo il vincolo territoriale. Un trucco degno di Totò e Peppino, che per una volta sono stati i milanesi a insegnare ai napoletani.

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