La violenza tra miasmi e cumuli incendiati "Abbiamo paura, non siamo camorristi"

26 giugno 2011 - Pietro Treccagnoli
Fonte: Il Mattino

A sentirla e a vederla in azione è solo gente esasperata, con la monnezza alla gola. «Guardate là sotto, per piacere, guardate bene, mo’ che si muove. L’avete vista la zoccola?»: a parlare è una quarantenne, ma potrebbe essere più giovane, che si presenta come Assunta. Lo scenario è corso Amedeo di Savoia, sopra la Sanità, sulla strada che porta a Capodimonte. Qui, c’è stato l’ennesimo spargimento di rifiuti. Ora è tutto calmo. La spazzatura è sul marciapiede, la circolazione è fluida. E la zoccola, senza paura, mostra la testa e la coda. Sta nel suo paradiso, insidiato dai piccioni, ma non dai gabbiani che qui non arrivano ancora. Un commerciante va a prendere una scopa. All’uscita il ratto non c’è più. «Hanno detto che c’è la camorra a manovrare la protesta» commenta il negoziante. «Ma ci avete visto bene e avete visto in che condizioni stiamo? Tirano sempre in ballo la camorra». Ma c’è o non c’é? «La camorra a Napoli c’è sempre, ma quello che fa mica lo viene a dire a noi. La verità è che le mamme hanno paura delle malattie e non ce la fanno a vivere tappate in casa». Tra le creature, denunciano in coro, sempre più occhi gonfi e arrossati e allergie a tutto. E ora che la scuola è finita, da queste parti, la vita per i ragazzi è tutta per strada. Un supersantos e si sfanga la giornata. L’altra notte a spargere monnezza per la strada («È l’unico modo che abbiamo per farla togliere» sottolineano) c’erano donne, bambini e giovani. Scope, guanti, scarpe chiuse e tanta forza nelle braccia per trascinare e capovolgere i cassonetti sulla strada in un rotolio ammorbante di sacchetti sfasciati e schifezze ormai senza più forma. Altri giri, altre corse. Via Monteoliveto, dopo l’incrocio c’è la Questura, accanto ci sono le scale della Posta Centrale, in mezzo ciò che resta di un rogo e di uno dei totem pubblicitari. Qui la puzza prende alla gola. Chi passa affretta il passo, fa di corsa i gradini. Il fetore di plastica corrode persino le parole. Roghi ce ne sono stati tanti a Napoli, di giorno e di notte: al Rettifilo, a via Marina. A via Brecce a Sant’Erasmo, dove la monnezza resiste e cresce da decenni, impermeabile a ogni miracolo, è un rogo continuo, tanto che chi ci lavora ha la mascherina in dotazione. «Oltre alla puzza della monnezza, ci tocca pure il fumo degli incendi» si sfogano gli operai di un’officina meccanica, una delle poche superstiti in un’area dove la dismissione ha creato il deserto, dove la notte è fatta per il sesso disperato e a pagamento. Ma chi appicca il fuoco? Ragazzi in motorino, dicono. La spazzatura ammonticchiata da anni è materiale facilmente infiammabile. Basta un mozzicone acceso, spiegano i vigili del fuoco. Ma in realtà arrivano ben attrezzati con i «diavolini», le barrette che si usano per i barbecue. Un lancio e via. Bruciarla è peggio che tenersela, la monnezza. Ma a niente servono gli appelli a non alimentare le fiamme per non sprigionare diossina, per non ammorbare l’aria, per non aggiungere inferno a inferno Il sindaco Luigi de Magistris ha denunciato che dietro ai roghi c’è una regia criminale. C’è un’inchiesta della magistratura. Ogni emergenza ha la sua camorra. E il suo allarme. Così è stato per Terzigno e prima ancora per Pianura. Si capiva che dentro a una rivolta larga, diffusa, di popolo, trovavano spazio piccoli gruppi di provocatori organizzati, portatori insani di interessi illegali. La protesta di questi giorni ha caratteristiche diverse, urbane innanzitutto. Nelle crisi cicliche che hanno attraversato l’ultimo decennio napoletano ci sono state fase in cui il picco di spazzatura per le strade è arrivato persino a 10mila tonnellate. E non ci sono stati spargimenti e roghi come adesso, quando, al massimo, la monnezza non raccolta è stata di «appena» 2mila e 400 tonnellate. Addirittura le proteste violente sono cominciate quando le tonnellate i rifiuti a terra erano solo un migliaio. Una regia, tante regie? Probabile, l’emergenza fa gola a molti, a tutta la filiera interessata a uno smaltimento perennemente e drammaticamente affannoso. Per durare così a lungo una crisi deve necessariamente avere chi ci guadagna. Una soluzione chiude il rubinetto dei profitti legati all’illegalità fattasi metastasi. Un cancro spesso invisibile, come le malattie che la monnezza alimenta e che non si scacciano a colpi di scopa, come le zoccole.

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