Strade sbarrate, si fermano i bus è battaglia nella discarica di Napoli

I cittadini: tanta immondizia ci danneggia. E i commercianti: meglio chiudere
24 giugno 2011 - Pietro Treccagnoli
Fonte: Il Mattino

Sono un pugno nell’occhio quei candidi abiti da sposa in vetrina. Fanno male, invece che rallegrare il cuore. Là, in un negozio di via Duomo raccontano di una città normale, dove le giovani coppie vanno in chiesa per le nozze. Poco più su, verso la Cappella del Tesoro di San Gennaro, le botteghe tradizionali espongono crocifissi e abiti liturgici. La Napoli sacra resiste, mentre tutt’attorno c’è la Napoli profanata. Devastata dalla monnezza, l’ennesima piaga d’Egitto che ritorna in questo ciclo indifferenziato e immobile dei rifiuti. Tutto per strada, sui marciapiedi e lanciato nelle carreggiate, ribaltato dai cassonetti dai residenti disperati e ammorbati. Via Duomo, ieri, soprattutto nel tratto che scende verso il Rettifilo, era un quadro di Micco Spadaro, il maestro secentesco che raffigurò l’angelo sterminatore della peste. L’imbocco di Spaccanapoli e, di fronte, quello di Forcella, ieri, erano una barricata fetente, che feriva il naso e gli occhi. Un pullman turistico era fermo tra i sacchetti. Dal primo piano veniva lo scatto continuo degli otturatori delle macchine fotografiche, il ronzio della nostra vergogna. Mentre le auto in sosta erano bloccate dai sacchetti cresciuti come una fungaia avvelenata. Una commerciante si sente come un topo in trappola: «Basta, io non apro più fino a quando c’è questa indecenza qui davanti alla mia porta. Tra poco non posso neanche più entrare». Un uomo incalza: «Sapete che dobbiamo fare? Portare i sacchetti ai crocieristi che arrivano al porto. Omaggio di Napoli». E aggiungono: «Andate a vedere cosa c’è davanti all’Annunziata». Non c’è bisogno. Quel cumulo sta là da giorni, a suppurare sotto le finestre degli ammalati. Napoli chiude per monnezza. Sembra di vivere in un film di fantascienza. Perché chi avrebbe immaginato che ai vigili sarebbe toccato fare la guardia al bidone, al cassonetto della spazzatura, per impedire che venga distrutto dalla gente esasperata. È quello che accadeva a via Toledo, tra il Ponte di Tappia e via Santa Brigida: coppie di guardie municipali a proteggere la schifezza. La mappa del disastro è un atlante di punti critici. His sunt leones. Ma non ruggiscono, fètono. A via Depretis la spazzatura l’hanno bruciata. Le fiamme si sono innalzate fino a sciogliere le insegne di uffici e negozi, che ieri mattina non hanno potuto aprire. Dovunque tracce di roghi (l’altra notte ce ne sono stati oltre sessanta), che rendono torrida l’aria già di per sé sfiancata dal bafuogno: ce ne sono anche a via Verdi e a via Medina, poco lontano dal fortino assediato del sindaco, e a Santa Lucia attorno al palazzo della Regione. Risalendo per piazza Dante, piena di rifiuti, bisogna districarsi tra i marciapiedi ridotti a discariche di via Monteoliveto. E se buttate l’occhio a Sant’Anna dei Lombardi restate abbagliati dai miraggi puzzolenti. E pensare che nell’antica chiesa c’è un tesoro unico come la Sacrestia del Vasari. Soffre tutta la città, ma è il centro a mostrare i segni più crudeli, perché la monnezza qui fa rima con la bellezza. La Riviera di Chiaia è stato il teatro del lancio della sacchetta. Bambini e donne mobilitati a spargere schifezze sulla carreggiata per impedire il passaggio di auto e moto. E l’unico modo che conoscono per far rimuovere i cumuli. Tutti contro tutti. Monnezza tua, vita mea. Solo i quartieri dove da tempo è partita la differenziata sono rimasti quasi indenni dalla nuova emergenza. Nuova, poi. Sono anni che non se ne esce. Una crisi dentro l’altra. Non si capisce mai quando ne finisce una e ne comincia un’altra. Chi scende giù dal Vomero, alla Pignasecca, strada di mercato continuo e popolare, di smercio di alimenti e di passaggio ininterotto, trova ad accoglierlo una montagna informe, proprio davanti all’uscita della Funicolare di Montesanto. Poco più avanti, dove c’è un commissariato di polizia le campane per la raccolta vetro sono sommerse dalle bottiglie che ormai tracimano e sono pericolose per chi gira con i sandali e per le ruote delle auto, tanto che sono state transennate. Dovunque ci si giri sono zaffate che attraversano anche il fragile riparo delle mascherine. E per capire dove fermentano le scorie di un benessere sempre più precario basta sollevare lo sguardo al cielo e seguire il volo dei gabbiani che da anni si sono trasformati in termometri della crisi: volano dove lo schifoso pasto abbonda, per contenderlo ai piccioni e alle zoccole.

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