Sui cumuli sventola il tricolore Pizzeria "chiusa per monnezza"

Vicoli off-limits e cittadini esasperati: "Qui moriamo di colera"
22 giugno 2011 - Pietro Treccagnoli
Fonte: Il Mattino

Tricolore sui rifiuti Quartieri Spagnoli, lasciate ogni Speranzella voi che entrate. La via cara al neorealismo dolciastro della Napoli del dopoguerra è una barricata ininterrotta di monnezza. Non poteva esserci inizio d’estate peggiore per la città appestata dai rifiuti, capitale mondiale dell’indifferenziato. Così, a via Gilardi, che da Toledo sale al corso Vittorio Emanuele sui cumuli trasformati in barricate sventola il tricolore, diventato il vessillo della rabbia, ma anche della resa, una bandiera bianca. E le donne, per sconforto (e un po’ per sfregio) intonano l’inno di Mameli. Fratelli abbandonati dall’Italia. Sul palazzo a sinistra, ad angolo con vicolo Portapiccola a Montecalvario c’è una lapide, ricorda che, nel 1813, ci è nato Luigi Settembrini, patriota dell’Unità. Auguri a lui e pure al sindaco de Magistris. Per il primo onomastico a Palazzo San Giacomo gli hanno fatto un bel regalo. A lui e ai napoletani: da un decennio non ricordano un’estate decente che non sia stata fetente, zellosa, ammorbata e sputtanante in mondovisione. I Quartieri erano un vero calvario ieri, l’epicentro del terremoto quotidiano che fa colare la monnezza e le proteste fin giù Toledo, sotto il Banco di Napoli, alle spalle del Municipio, nel pieno della sedicente city, o in fondo a via Nardones a pochi passi da piazza del Plebiscito. Ma girando per i vicoli della Napoli popolare c’è da rimanere stecchiti. Anche i santi e le madonne dagli altarini vorrebbero tapparsi in naso. Gli uomini fanno di più. Come Crescenzo Coppa, giovane titolare della pizzeria «Antica Capri», proprio a via Speranzella. Ieri mattina ha chiuso bottega e sulla serranda ha attaccato un cartello eloquente: «Siccome siamo una trattoria basata sulla pulizia, mi vergogno di stare aperto per questo scempio. Grazie a tutti i nostri politici. Questo siete: immondizia». E poi, a voce ha spiegato: «Abbiamo aperto appena due mesi fa. Ho ventitré anni e mi sentivo incoraggiato a cominciare un’impresa tutta mia. Il risultato è questo. Sono deluso e non venitemi a parlare di giovani che non intraprendono, che non rischiano, che non investono». Vietato respirare, chi può, dal macellaio al fruttivendolo al pasticciere, usa la mascherina. Per quanto possa arrecare qualche sollievo. Il dedalo di bassi e mura sgarrupate è tutto una discarica. A piazza Rosario di Palazzo, dove ha abitato Eleonora Pimentel Fonseca, la martire del 1799, e dove c’è un’effigie della Vergine, «Mater Purissima», s’innalza una montagna di scarti e, in pieno giorno pasteggiano, zoccole e piccioni, mentre nugoli d’insetti volteggiano eccitati dall’abbondanza di appetitoso marciume. Poco più in là, l’ingresso dell’Arciconfraternita di Santa Maria Assunta in Cielo è sbarrato da un deposito di rifiuti ingombranti. Chi può scappa con ogni mezzo, soprattutto se divino. Ché quello c’è rimasto. Le auto non passano più. Gli scooter fanno la gimkana. La gente vive tappata in casa. Le auto in sosta sono sommerse da sacchetti e cartoni. Tommaso Ragosta, fruttivendolo, lancia secchiate di creolina sulla monnezza: «Scrivetelo, da ieri ho già speso 100 euro di disinfettante, sennò qua schiattiamo di colera». Appostata all’apertura del suo basso, ad angolo tra via Santa Teresella degli Spagnoli e via Sant’Anna di Palazzo, Immacolata Vecchione osserva lo scempio con occhi lucidi. Sono lacrime o allergia? Siede su una sedia a rotelle. E a fatica si sfoga in un lamento: «Non posso uscire di casa e sto morendo dalla puzza. Mi sento abbandonata da tutti in questa camera a gas». Sono le voci di dentro di una Napoli stanca di piegarsi. Così ieri la rivolta è scoppiata al corso Umberto, a pochi metri da piazza Garibaldi. Cassonetti rovesciati nel centro della strada. Traffico impazzito. Interventi della polizia. Stesso scenario di disperazione (sacchetti sparsi e barricate lerce) a via Tarsia, poco lontano da piazza Dante. Qui un chiosco che annuncia di vendere pane fresco e taralli è circondato dalla spazzatura. C’è persino bidone enorme che conteneva vasellina. Dio sa quanto se ne sta usando in città. Il bollettino delle previsioni «monnezzeologiche» ha registrato, ieri, tonnellate sparse, cumuli senza cirri, in tutta la città da Fuorigrotta a Secondigliano, da Scampia a Pianura, da San Ferdinando (in via Chiatamone, proprio alle spalle dei grandi alberghi) a Marianella e attorno a Castel Capuano. Solo i quartieri collinari (Vomero, Arenella e Posillipo) sembravano respirare. Non si sa fino a quando, perché, questa emergenza continua, infinita, che infila una crisi nell’altra, un tunnel fetente senza una luce all’uscita, ci ha insegnato che nessun quartiere può sentirsi assolto, sono tutti coinvolti, prima o poi, in una tragedia a macchia di leopardo. Laddove si può, hanno lavorato i bobcat, che poco possono fare: liberano le strade dai sacchetti e svuotano i cassonetti direttamente sui marciapiedi che ora toccherà chiamare discariche. Le uniche disponibili.

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