Nei vicoli dove i cumuli impediscono di camminare
Via Speranzella, le due del pomeriggio: cassonetti rovesciati, immondizia in strada, un tanfo nauseabondo che esala dall'asfalto infuocato dai trenta gradi della prima, vera giornata estiva. Le auto non passano. I motorini devono intrufolarsi in un varco strettissimo. Quanto ai pedoni, per quelli è un calvario: nasi tappati, una smorfia di disgusto che attraversa il volto. L'olezzo penetra fin dentro i locali della vicina pizzeria. Margherita e munnezza: simboli ormai pressoché paritetici della metropoli partenopea all'estero. Un giovane, maglietta scura, a cavallo di una moto, contempla lo sfacelo. Gli chiedi cosa ne pensi. «Se non la buttano in mezzo alla strada», risponde, «l'immondizia non se la vengono a prendere». Ti spiazza: «Comunque io mo' me ne vado a Cuba. Mi sono fidanzato con una ragazza del posto. Io da Napoli me ne scappo». Sui cumuli, un foglio di benvenuto beffardo alla nuova giunta de Magistris, invero del tutto incolpevole di quel che accade. Poco più avanti due uomini sui 4o anni scaricano legna da un camion rosso. Uno abita a Mugnano e commenta: «L'abbiamo fatta perfino noi, la raccolta differenziata. Mica siamo dei geni, è che se la vengono a prendere a casa, col porta a porta. All'inizio ci pareva difficile, adesso lo facciamo senza pensarci, in automatico». A poche centinaia di metri, eccola scuola Paisiello, a un passo da piazzetta Montecalvario. Durante una delle precedenti emergenze, i residenti rovesciarono i cassonetti stracolmi e le foto dei bambini che, per entrare in classe, calpestavano la spazzatura fecero il giro d'Italia. Già oggi i cumuli invadono metà carreggiata. Chi abita lì vicino si lamenta, protesta, inveisce contro sindaci, assessori, governo e quant'altro. Nessuno si ferma, anche solo un minuto, a guardare da vicino che cosa contiene ciascuno di quei sacchetti. Plastica e vetro in quantità industriali, che dovrebbero essere introdotti nelle campane per la differenziata. Carta,che potrebbe essere depositata nei bidoncini bianchi. Ingombranti, scarti dell'edilizia, perfino batterie. Al netto di questi materiali, che mai sarebbero dovuti stare nei cassonetti, finanche in questa fase di difficoltà in strada ci sarebbe almeno la metà della spazzatura accatastata. Soprattutto scarti alimentari. Bucce di frutta, resti di verdure, tranci di pizze. Basterebbe un sistema di prelievo differenziato dell'umido, in tutta la città, come quello attualmente adottato solo in pochi quartieri, perché non finissero nell'immondizia. Potrebbero e dovrebbero essere lavorati negli impianti di compostaggio. Terra che torna alla terra, come fertilizzante. E vero, ancora non ci sono stabilimenti sufficienti (è questo il vero scandalo della vicenda rifiuti campana) e Napoli spende moltissimo per esportare l'umido fuori regione. Tuttavia, ci sarebbe anche un'altra possibilità, di immediata realizzazione, o quasi. È quella di cui si è dibattuto ieri in un convegno a Mani Tese promossa dal Comitato regionale rifiuti: il compostaggio domestico. Basta poco: una compostiera per famiglia, o per condominio, un po' di informazione, buona volontà. In un condominio al Corso Vittorio Emanuele sono partiti un mese fa e i risultati sono ottimi. Frutta, verdura, avanzi alimentari diventano fertilizzante che può essere utilizzato nelle aiuole, nei giardini, nei parchi pubblici, nei vasi dei fiori. In nord Europa e in molte zone d'Italia è pratica consolidata. Qualche anno fa il Commissariato per l'emergenza rifiuti varò appunto un piano per il compostaggio domestico in Campania. Costi stimati: circa 17 miliardi di vecchie lire. Risparmio annuo previsto sulla raccolta e sullo smaltimento della frazione organica: poco meno di 15 miliardi all'anno. Anche quel piano è finito nel libro delle buone intenzioni. Dolo o colpa, difficile dirlo.