«Un arresto ingiusto sono amareggiata»

30 maggio 2008 - Leandro Del Gaudio
Fonte: Il Mattino
Si dice «amareggiata» e ci ha messo un’intera giornata per ricostruire le accuse che le vengono mosse. Lei, Marta Di Gennaro, dirigente romana ai vertici della Protezione civile, si dice «amareggiata»: perché ad un anno dalla scadenza del suo mandato (agosto ’97), si è vista notificare un ordine di arresto ai domiciliari, dove viene indicata tra le responsabili dell’emergenza rifiuti in Campania.
Difesa dal penalista Efisio Figus Diaz, Marta Di Gennaro è attesa mercoledì dinanzi al gip Rosanna Saraceno, a rispondere di truffa e falso, nella gestione dell’emergenza rifiuti a fianco dell’ex commissario Guido Bertolaso. «Niente gioco di squadra - fa capire tramite il suo avvocato, respingendo le conclusioni del gip - niente gioco di squadra se parliamo di interessi privati, ma solo per garantire l’interesse pubblico». Va al nocciolo dell’accusa: «Aver protratto l’emergenza per incassare un successo professionale o un avanzo di carriera? Marta Di Gennaro - spiega il suo legale - è dirigente da anni in Protezione civile e non ha guadagnato nulla di più rispetto a quanto le spettava per le sue competenze». Figlia di un magistrato, si dice legata al senso dello Stato e all’interesse pubblico. «Quelle telefonate - è questa la posizione difensiva - quelle lunghe intercettazioni poi estrapolate dai giornali, lette nel proprio contesto dimostrano tutt’altro». Poi, è ancora il penalista Figus Diaz a riassumere la posizione della Di Gennaro: «Si vuole a tutti i costi unificare il tecnico con l’amministratore, in un modo che non ha alcuna corrispondenza con la realtà. Per quale motivo, un dirigente della Protezione civile dovrebbe essere a conoscenza del falso certificato messo sul rifiuto? Se è vero che c’erano false certificazioni, come avrebbe potuto saperlo anche i dirigenti?». Intanto, ieri è toccato ai capi dei sette impianti Cdr sfilare davanti al giudice e ai pm Noviello e Sirleo. Ingegneri dai trenta ai quaranta anni, dipendenti Fibe, fanno fatica a reggere emozione. Difesi dai penalisti Ilaria Criscuolo e Alfonso Furgiuele, i sette indagati hanno respinto su tutta la linea le accuse. C’è chi ha mostrato la propria busta paga al giudice, provando anche a sfogarsi: «Guadagno al massimo duemila euro, dove stanno gli ingiusti profitti che mi vengono attribuiti?». E entrando nel merito: «Abbiamo lavorato sempre con gli impianti stracolmi, in una situazione d’emergenza, non potevamo fare nulla di più». Oggi toccherà al subcommissario Michele Greco, difeso dall’avvocato Giuseppe Fusco, e al dirigente Giuseppe Sorace, difeso dal penalista Claudio Botti.

 

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