I pentiti raccontano il sistema degli appalti
«Il clan Bidognetti aveva influenza presso gli uffici dei Comuni di Castelvolturno, Lusciano, Villa Literno e tutte le zone sotto la loro competenza e il clan aveva stabilito che solo Ludovico Ucciero doveva lavorare nell’impianto di depurazione, a nessun altra ditta negli anni è stato concesso di poter stipulare contratti analoghi». Non è un brano di un romanzo d’inchiesta, ma sono le parole del collaboratore di giustizia Enrico Verde che, dopo aver fatto parte del clan dei Casalesi, ha deciso di uscire dal gruppo e di parlare ai magistrati di ciò che accadeva nei depuratori, di come la camorra riusciva a controllare il ciclo dei rifiuti e dove finiva, poi, il percolato, la sostanza liquida più pericolosa sprigionata dai rifiuti industriali e organici. In pratica: una sorta di veleno. Dalle parole pronunciate dal pentito sono nati due filoni di indagine: il primo si è concluso ieri con l’arresto dell’imprenditore che, stando ai pm dell’Antimafia, era una «persona di fiducia che era a disposizione del clan» e che proprio grazie a questo legame con la camorra riusciva a ottenere gli appalti da enti pubblici «presso l’impianto di depurazione della foce dei Regi Lagni». La seconda è ancora aperta e sembra assumere le vesti di un ciclone che potrebbe abbattersi sui comuni e sugli enti che hanno stipulato contratti con Ucciero. Più le imprese a lui collegate - dalla Castellana alla Natura Ambiente - riuscivano a ottenere appalti dagli enti pubblici e più aumentava il prezzo da pagare al clan da parte delle ditte. Ma come riusciva Ucciero a vincere ogni gara per il trattamento del percolato? A raccontarlo è stato Luigi Guida detto o’drink, altro collaboratore di giustizia, ex capozona di Castelvolturno per conto del gruppo Bidognetti: «Fu Ludovico Ucciero a chiedermi di intervenire sul Comune per avere le opportune autorizzazioni – spiega Guida – allora parlai anche con il fratello del sindaco, ossia Alfonso Scalzone, al quale dissi che doveva intercedere presso il fratello sindaco per il rilascio delle autorizzazioni in favore di Ucciero. Effettivamente Ucciero ottenne le autorizzazioni». Come? Attraverso i contatti giusti. Nell’ordinanza di custodia cautelare e decreto di sequestro dei beni di Ucciero, sono scritti anche i nomi e i cognomi degli amministratori che hanno agevolato la presunta ascesa economica dell’imprenditore che «all’inizio aveva solo due camion scassati – racconta Verde – poi, grazie ai lavori che prendeva, era diventato titolare di una ditta con molti camion, circa una quindicina». Ucciero, però, ha respinto tutte le accuse davanti al gip di Napoli Roberto D’Auria in occasione, ieri, dell’interrogatorio di garanzia nel carcere di Poggioreale: «Sono una vittima, sono stato costretto a pagare – ha dichiarato rispondendo alle domande del giudice – ma non ho mai ottenuto appalti pubblici grazie alla camorra». L’avvocato dell’imprenditore, Nando Letizia, ha fatto sapere che l’impresa del suo assistito non ha mai avuto problemi: «Una sola volta Ucciero è stato controllato in compagnia di Oreste Spagnuolo e all’epoca la prefettura emise un’interdittiva poi impugnata davanti al Tar». Vinta, stando al legale. Così, Ucciero, probabilmente, riuscì anche ad ottenere il certificato Antimafia dall’organo territoriale di Governo. Apparentemente, dunque, era un’impresa pulita la sua. Ma i pentiti dicono altre verità. «L’appalto per il servizio pubblico fu assicurato a Ucciero dall’allora assessore all’Ambiente del Comune di Castelvolturno – racconta ancora il pentito Verde – questa persona era uno dei nostri referenti nel Comune che aveva la funzione di fare aggiudicare le gare d’appalto alle ditte segnalate dal clan dei Casalesi. La contropartita del servizio da lui prestato era proprio alla base della sua posizione in quanto egli, intanto veniva eletto, in quanto gli esponenti del clan dei Casalesi gli procuravano i voti necessari».