Docce e sdraio per la tintarella con l'incubo del "mare marrone"
 L’altra sera, davanti all’ingresso un lido di Licola, s’è  presentato un tizio che aveva due pistole, una nella cintura e una nella  tasca posteriore dei calzoni. Il tizio, prima che i carabinieri lo  fermassero, ha cercato il gestore del lido, gli ha puntato la pistola in  faccia e gli ha detto che si sarebbe accontentato dei guadagni della  giornata, che doveva portarlo ai «compagni» di un gruppo malavitoso. «Ma  no, qui il problema del pizzo non c’è», s’affrettano a spiegare molti  dei gestori. E vallo a capire se dicono la verità o mentono per paura. Il  confine fra la costa casertana e quella napoletana, camminando sulla  sabbia non si vede, naturalmente.  Il fatto è che non si percepisce  nemmeno: il mare di Castelvolturno è uguale a quello di Licola che è  identico a quello di Varcaturo. Per avere una rappresentazione «fisica»  di questo concetto, provate a guardare la piantina della costa  realizzata dall’Arpac e messa online a disposizione dei cittadini. Ci  sono bandierine rosse a segnalare il mare non balneabile, blu per quello  dove i tuffi sono consentiti: quando incappate in una infinita sequenza  di bandierine rosse (27 per la precisione) avrete individuato la zona  della quale parliamo. Partono dalla mefitica foce del Volturno, le prime  diciassette bandiere di pericolo riguardano ancora l’area casertana, le  successive dieci appartengono tutte alla provincia di Napoli. Eppure i  rilevamenti regalano briciole di speranza; lievi, infinitesimali segnali  di miglioramento nella qualità di quella melma che continuiamo a  chiamare, con ostinazione, mare: «Ma sono segnali talmente inconsistenti  che faccio fatica a gioire», Annamaria Lubrano, pasionaria della lotta  alle schifezze che vengono vomitate dai canali di scolo, presidente  dell’associazione ambientalista «Costa dei sogni» e proprietaria di un  lido, «Le Dune», non riesce a partecipare al coro d’entusiasmo che ha  accompagnato i modesti miglioramenti nei risultati delle analisi: «Se  non si mettono in atto drastiche misure di controllo e di contrasto, qui  non cambierà mai nulla. La gente da noi continua a venire anche perché  il mio è il lido più bello della zona. Ma il mare...». Il mare è  inguardabile, l’altro giorno aveva un colore marroncino scuro che dava i  brividi solo a guardarlo. Infatti la gente che va su quelle spiagge,  sopperisce con le docce, e con le piscine, dove ci sono. Anche  l’arenile, nelle zone abbandonate e lontane dai lidi più accorsati, è  impressionante: non solo immondizia ma anche carcasse di animali a  marcire sulla sabbia. Pure l’area lungo la strada che conduce alla costa  fa venire i brividi. Qui l’emergenza rifiuti non si è mai conclusa,  tutto è immobile, tranne l’immondizia che cresce. Fortunatamente,  almeno, dai canali che circondano le spiagge non scivola più in mezzo ai  pochi coraggiosi bagnanti il percolato come accadde due anni fa. Il  punto di svolta tra la costa napoletana che le analisi considerano a  rischio e quella in cui il bagno non è ritenuto pericoloso, è  Torregaveta. Non è questione di bravura, naturalmente. Solo merito delle  correnti che, all’avvicinarsi del canale di Procida, si fanno più  intense e vorticose e, a giorni alterni, tengono lontani dalla costa  rifiuti solidi e batteri fecali. Sono quelle stesse correnti, però, che  talvolta mettono in crisi i bagnanti meno esperti. Il pontile di  Torregaveta è quello dal quale, nell’estate del 2008, si tuffarono  Violetta e Cristina Ebrehmovic le due ragazzine nomadi che avevano caldo  e non si resero conto che il mare mosso le avrebbe ingoiate. Due  cuginette che erano con loro furono soccorse, le altre due piccole  furono sopraffatte. Fecero il giro del mondo le immagini dei corpi  distesi sulla sabbia, coperti da teli, tra l’indifferenza dei bagnanti  che continuavano a prendere il sole e che restarono stesi sui lettini  anche mentre passavano le bare «ma Torregaveta non è quella che venne  mostrata in quelle foto – s’inalbera un signore distinto che passeggia  sul molo – quella era gentaglia, la stessa che tra un po’ scenderà a  frotte dai treni di Circumflegrea e Cumana per invadere e insozzare».  Nel frattempo, per tenere sotto controllo la zona, è allo studio la  possibilità di creare una piccola stazione della guardia costiera  proprio su quel molo, da far entrare in funzione nei mesi estivi.  Superato il punto di svolta, la costa diventa un po’ più pulita,  gradevole, abbordabile. L’isolotto di San Martino, la spiaggia di  Acquamorta, i lidi di Miliscola e quelli di Miseno che nel corso degli  anni si sono trasformati in luoghi di ritrovo anche notturni per i  ragazzi che d’estate vogliono stare sempre sulla spiaggia, perfino  ballarci sopra. Da quel punto in poi, fino ai confini con l’area  metropolitana di Napoli, tra pregi e difetti il litorale continua ad  essere considerato tutto balneabile, eccezion fatta, naturalmente, per  lo specchio d’acqua antistante la città di Pozzuoli.
L’altra sera, davanti all’ingresso un lido di Licola, s’è  presentato un tizio che aveva due pistole, una nella cintura e una nella  tasca posteriore dei calzoni. Il tizio, prima che i carabinieri lo  fermassero, ha cercato il gestore del lido, gli ha puntato la pistola in  faccia e gli ha detto che si sarebbe accontentato dei guadagni della  giornata, che doveva portarlo ai «compagni» di un gruppo malavitoso. «Ma  no, qui il problema del pizzo non c’è», s’affrettano a spiegare molti  dei gestori. E vallo a capire se dicono la verità o mentono per paura. Il  confine fra la costa casertana e quella napoletana, camminando sulla  sabbia non si vede, naturalmente.  Il fatto è che non si percepisce  nemmeno: il mare di Castelvolturno è uguale a quello di Licola che è  identico a quello di Varcaturo. Per avere una rappresentazione «fisica»  di questo concetto, provate a guardare la piantina della costa  realizzata dall’Arpac e messa online a disposizione dei cittadini. Ci  sono bandierine rosse a segnalare il mare non balneabile, blu per quello  dove i tuffi sono consentiti: quando incappate in una infinita sequenza  di bandierine rosse (27 per la precisione) avrete individuato la zona  della quale parliamo. Partono dalla mefitica foce del Volturno, le prime  diciassette bandiere di pericolo riguardano ancora l’area casertana, le  successive dieci appartengono tutte alla provincia di Napoli. Eppure i  rilevamenti regalano briciole di speranza; lievi, infinitesimali segnali  di miglioramento nella qualità di quella melma che continuiamo a  chiamare, con ostinazione, mare: «Ma sono segnali talmente inconsistenti  che faccio fatica a gioire», Annamaria Lubrano, pasionaria della lotta  alle schifezze che vengono vomitate dai canali di scolo, presidente  dell’associazione ambientalista «Costa dei sogni» e proprietaria di un  lido, «Le Dune», non riesce a partecipare al coro d’entusiasmo che ha  accompagnato i modesti miglioramenti nei risultati delle analisi: «Se  non si mettono in atto drastiche misure di controllo e di contrasto, qui  non cambierà mai nulla. La gente da noi continua a venire anche perché  il mio è il lido più bello della zona. Ma il mare...». Il mare è  inguardabile, l’altro giorno aveva un colore marroncino scuro che dava i  brividi solo a guardarlo. Infatti la gente che va su quelle spiagge,  sopperisce con le docce, e con le piscine, dove ci sono. Anche  l’arenile, nelle zone abbandonate e lontane dai lidi più accorsati, è  impressionante: non solo immondizia ma anche carcasse di animali a  marcire sulla sabbia. Pure l’area lungo la strada che conduce alla costa  fa venire i brividi. Qui l’emergenza rifiuti non si è mai conclusa,  tutto è immobile, tranne l’immondizia che cresce. Fortunatamente,  almeno, dai canali che circondano le spiagge non scivola più in mezzo ai  pochi coraggiosi bagnanti il percolato come accadde due anni fa. Il  punto di svolta tra la costa napoletana che le analisi considerano a  rischio e quella in cui il bagno non è ritenuto pericoloso, è  Torregaveta. Non è questione di bravura, naturalmente. Solo merito delle  correnti che, all’avvicinarsi del canale di Procida, si fanno più  intense e vorticose e, a giorni alterni, tengono lontani dalla costa  rifiuti solidi e batteri fecali. Sono quelle stesse correnti, però, che  talvolta mettono in crisi i bagnanti meno esperti. Il pontile di  Torregaveta è quello dal quale, nell’estate del 2008, si tuffarono  Violetta e Cristina Ebrehmovic le due ragazzine nomadi che avevano caldo  e non si resero conto che il mare mosso le avrebbe ingoiate. Due  cuginette che erano con loro furono soccorse, le altre due piccole  furono sopraffatte. Fecero il giro del mondo le immagini dei corpi  distesi sulla sabbia, coperti da teli, tra l’indifferenza dei bagnanti  che continuavano a prendere il sole e che restarono stesi sui lettini  anche mentre passavano le bare «ma Torregaveta non è quella che venne  mostrata in quelle foto – s’inalbera un signore distinto che passeggia  sul molo – quella era gentaglia, la stessa che tra un po’ scenderà a  frotte dai treni di Circumflegrea e Cumana per invadere e insozzare».  Nel frattempo, per tenere sotto controllo la zona, è allo studio la  possibilità di creare una piccola stazione della guardia costiera  proprio su quel molo, da far entrare in funzione nei mesi estivi.  Superato il punto di svolta, la costa diventa un po’ più pulita,  gradevole, abbordabile. L’isolotto di San Martino, la spiaggia di  Acquamorta, i lidi di Miliscola e quelli di Miseno che nel corso degli  anni si sono trasformati in luoghi di ritrovo anche notturni per i  ragazzi che d’estate vogliono stare sempre sulla spiaggia, perfino  ballarci sopra. Da quel punto in poi, fino ai confini con l’area  metropolitana di Napoli, tra pregi e difetti il litorale continua ad  essere considerato tutto balneabile, eccezion fatta, naturalmente, per  lo specchio d’acqua antistante la città di Pozzuoli.

