«I reperti un affare per i clan, zero risorse per difenderci»
«La scoperta di oggi è soltanto la punta di un iceberg». Tsao Cevoli è presidente dell’Associazione nazionale archeologi e da sempre, denuncia che «gran parte del patrimonio archeologico è sconosciuto».
Sconosciuto allo Stato, ma non, evidentemente, ai tombaroli. «Altro che tombaroli: ormai si tratta di vere e proprie organizzazioni criminali che possono contare su uomini e attrezzature da scavo ma anche su canali internazionali attraverso i quali portare i reperti nelle sale di alcuni musei esteri di cui non riusciamo a seguire le tracce. Da una parte ci sono aree saccheggiate, dall’altra reperti che spuntano nei musei di quesi Paesi che non hanno firmato le convenzioni per la tutela del patrimonio. Le indagini sono lunghe e costose, spesso quando arrivano le condanne il reato è ormai prescritto. Il mercato nero dell’arte secondo le parole del procuratore nazionale antimafia Piero Grasso è il terzo business della criminalità organizzata».
Perché la criminalità riesce dove lo Stato non arriva? «Perché c’è una sproporzione enorme tra l’importanza del business e i mezzi messi in campo dallo per contrastarla. Migliaia di archeologi non possono lavorare per la tutela perché lo stato non ne riconosce il ruolo professionale e quelli delle Soprintendenze, in ragione di uno ogni 1200 chilometri quadrati di territorio, non hanno più nemmeno i soldi per la benzina ed uscire in missione. Per non parlare dei carabinieri del nucleo tutela: hanno così pochi uomini da non essere in grado di operare».
Esiste una mappa dei possibili ritrovamenti in zone, come i Campi Flegrei, ad alta concentrazione di siti archeologici? «Il punto è proprio questo: chi le fa, queste mappe? Al di fuori delle Soprintendenze, che non hanno personale a sufficienza, non esistono archeologi riconosciuti come tali e quindi qualificate a farle. Sempre più spesso le scoperte, infatti, riguardano scavi clandestini: quando si arriva alla necropoli è già stata svuotata, in un caso ci abbiamo trovato anche un giubbotto e un pacchetto di sigarette dimenticato dai trafugatori. La verità è che il nostro Paese non investe nei beni culturali. Tutti dicono che la cultura deve essere il petrolio del nostro paese, ma chiunque può attingere ai nostri giacimenti».
La cultura, ha detto il ministro Galan deve essere la «benzina» di questo Paese... «Galan ha detto cose che noi diciamo da sempre. Bisogna smetterla con i cantieri eventi e i restauri spettacolari che costano un sacco di soldi e programmare interventi di manutenzione continua. La Schola Armaturarum caduta a Pompei si trova vicino alla Domus di Giulio Polibio in cui si sono spesi un sacco di soldi per fare un ologramma».