Finanza, ecomafie e traffico d’armi le nuove rotte milionarie del clan

Abruzzo, Veneto, Piemonte e Friuli gli scenari degli investimenti record per "riciclare" e ripulire il denaro
15 aprile 2011 - r.cap.
Fonte: Il Mattino Caserta

Una denuncia lunga ottantasei pagine, il report della situazione criminale in Italia in relazione allo smaltimento dei rifiuti. Era il 25 ottobre del 2000 quando la commissione sulle ecomafie denuncia le intromissioni di mafia, camorra e ’ndrangheta nel business. E avverte: la criminalità organizzata ha esteso il suo controllo sui rifiuti speciali anche in zone dove non è radicata. Le aree privilegiate sono quelle della rotta adriatica e le regioni tranquille, come l’Abruzzo e il Molise. E quelle della rotta Veneto-Friuli Venezia Giulia, o Piemonte-Veneto-Emilia Romagna. «Esistono società commerciali - scriveva il presidente della commissione inchiesta, Massimo Scalia - o imprese che, pur non essendo legate alle varie mafie, hanno come ragione sociale la gestione illegale dei rifiuti, specialmente quelli industriali. Inoltre, ad alimentare il mercato sono anche industrie a rilevanza nazionale ed internazionale, comprese aziende a forte partecipazione di capitale pubblico». Caposcuola veniva indicato il clan dei Casalesi. Avveniva undici anni fa. Nei documenti ufficiali del Parlamento i Casalesi già comparivano come i principali inquinatori dell’economia del centro-nord, sia nel settore dei rifiuti, sia in quello della finanza illegale o del traffico di armi. La presenza massiccia in Emilia Romagna e in Toscana era già, a quel tempo, dato investigativo acquisito. Iniziava ad affacciarsi anche il Veneto. Due anni dopo, a ottobre del 2002, i primi arresti: Francesco Mauriello e Oreste Reccia, esponenti di spicco del clan, entrambi di San Cipriano. I due avevano contattato un imprenditore veneto, ma originario del Casertano. «Guadagni bene, deve contribuire anche tu a fare campare i nostri carcerati», avevano detto. Le cronache del 2008 avevano ospitato, invece, le gesta di un faccendiere internazionale, Giuseppe Ottomano, che aveva piazzato proprio in Veneto titoli fasulli come garanzia di fidi bancari per avere denaro da prestare al bel mondo della finanza europea, come l’ex presidente del Real Madrid, Lorenzo Mancedo Sanz, mancato destinatario di 50 milioni di euro. Una truffa da almeno 100 milioni perpetrata sotto l’ombrello protettivo di una società finanziaria - la Garanzie Nordest di Ponte San Nicolò, in provincia di Padova. Sei anni prima Ottomano era finito in un’inchiesta della Dda di Napoli, inchiesta sulle attività del clan dei Casalesi. I camorristi di Villa Literno si erano rivolti a lui per acquistare, sul mercato di Zurigo, mitragliette Uzi, Kalashnicov, pistole, qualche migliaio di cartucce calibro 9, giubbotti antiproiettile. Ancora: nel 2009 Giuseppe Di Rosa, imprenditore edile di origini campane e da decenni trapiantato in provincia di Venezia, per non interrompere i rapporti con un costruttore di Viterbo, suo socio nella realizzazione di alcune villette a Roma, che non aveva onorato un debito, aveva ceduto le cambiali a un corregionale che abitava dalle parti di casa sua. Questi, le aveva passate altrove. Alla fine del giro, Di Rosa, che aveva ricomposto la questione finanziaria con il socio, avrebbe dovuto pagare ben trentamila euro per ritornare in possesso dei vecchi effetti: il prezzo per il (non richiesto) interessamento della camorra, i parenti di Francesco Schiavone-Sandokan e di Michele Zagaria, scomodata per nulla. L’ultima inchiesta che vede i Casalesi presenti in Veneto risale a pochi giorni fa e chiude il cerchio: il business è ancora quello dei rifiuti. A un imprenditore della provincia di Padova, Franco Caccamo, sono stati sequestrati i capannoni industriali dell’azienda di riciclo di materiale ferroso. Per il Tribunale, è un prestanome di Cipriano Chianese, l’avvocato di Parete che inventò le ecomafie.

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