Dagli spazzini alle ditte private, una dinasty lunga vent'anni

Nel '93 con le accuse a Cigliano comiciò la tangentopoli napoletana
15 aprile 2011 - Daniela De Crescenzo
Fonte: Il Mattino

La scheda Di padre in figlio. Gli affari, nel campo della monnezza, si tramandano in famiglia. E i protagonisti dell’emergenza infinita sono sempre gli stessi. Nomi che si rincorrono nelle 43 interdittive antimafia firmate dalla prefettura di Napoli, nelle inchieste giudiziarie e nelle relazioni delle commissioni parlamentari che si sono occupate delle ecomafie. I signori della monnezza in Campania, per decenni sono stati La Marca, Colucci, Di Francia, Marrazzo, Chianese, Vassallo. Padri, figli, fratelli, moglie, cognate: tutti insieme appassionatamente a spacciare rifiuti. Nonostante le incriminazioni, gli arresti, le intedittive. Tutti imprenditori con legami forti con la politica e con i clan. I Cigliano no. Loro «sono» la politica. Antonio, Corrado e Dario Cigliano non hanno mai avuto un’azienda propria. Eppure sono riusciti, in un modo o in un altro, a influire decisamente, almeno fino a qualche mese fa, sull’organizzazione di monnezzopoli. Sulle sue ripetute cadute e sulle sue puntuali rinascite. Nel 1989 Antonio Cigliano è assessore all’ecologia della giunta Polese e organizza la privatizzazione della raccolta della spazzatura che costerà alle casse del Comune qualcosa come 350 miliardi di lire. L’appalto viene assegnato alla Sigea di Gabriele Serriello. Una gara truccata, sosterranno nel ’93 i magistrati che arresteranno sia il politico (per lui il procedimento si conclude con un patteggiamento) che l’imprenditore. Con loro finisce in manette anche Antonio Merlo amministratore della Slia (gruppo Cerrone), una delle ditte comprese nel consorzio Sigea. Secondo l’accusa le ditte rivali erano state estromesse a colpi di pistola. Gli agguati ai netturbini, gli assalti ai camion erano serviti a guidare l’appalto. Storie di ieri. Storie di oggi visto che le indagini che hanno portato agli arresti di ieri sono partite proprio da una serie di raid contro i compattatori. Questa volta, però, a finire nel mirino erano stati, nel settembre scorso, i camion di Enerambiente, la società del gruppo Gavioli che nel 2007 aveva ereditato i contratti della Slia (con la quale aveva già legami societari) tornata magicamente in campo nel 2005 quando aveva ottenuto un appalto dall’Asia allora guidata da Lino Bonsignore. E tra i dirigenti di Eneranbiente c’era Corrado Cigliano, fratello di Dario eletto nelle liste del Pdl al consiglio comunale e provinciale. Entrambi sono figli di Antonio, l’assessore che aveva assegnato il primo appalto alla Slia. Enerambiente ad agosto del 2010 aveva visto ridurre il servizio da sette a due lotti: l’amministratore delegato di Asia, Daniele Fortini, aveva deciso, dopo una gara andata a vuoto e l’ennesima proroga, di organizzare un bando europeo. Vincitrici con l’azienda veneta anche due liguri. Passano pochi mesi e Enerambiente viene colpita da un’interdittiva antimafia «atipica». Il prefetto di Venezia segnala che dalle indagini della Dia di Padova sono emersi «acclarati collegamenti» tra l’amministratore delegato Giovanni Faggiano e Antonio D’Oriano, figlio di Domenico che secondo la Dia sarebbe anello di congiunzione tra il clan D’Alessandro di Castellammare di Stabia e la Sacra Corona Unita. Non solo: la Dia ha accertato «rapporti di dubbia natura» tra Stefano Gavioli e Angelo Zito arrestato dalla Dia di Palermo con l’accusa di riciclare i soldi dei fratelli Graviano. I dirigenti di Asia leggono il rapporto della prefettura e decidono di interrompere ogni rapporto con Asia. Intanto la Digos che indaga sul raid contro i compattatori arresta Salvatore Fiorito dirigente della cooperativa Davideco: avrebbe organizzato l’assalto per minacciare Enerambiente che, dopo il ridimensionamento del contratto, aveva licenziato i soci della coop. A sua volta Davideco aveva assorbito i soci di un’altra impresa colpita da interdittiva antimafia, la San Marco. Sembra il far west, ma è solo monnezzopoli.

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