Terra dei fuochi, diossina e sospetti: scatta un nuovo allarme
Giugliano. Una scaletta di ferro appoggiata al muro di recinzione e due persone a guardia della discarica Resit, sottoposta a sequestro nell’ambito dell’inchiesta a carico di Cipriano Chianese, vicino al clan dei Casalesi, e nella quale, a sentire il pentito Gaetano Vassallo, sono stati sversati per anni i fanghi e le scorie delle industrie del Nord. Facile ipotizzare un nuovo scarico illegale proprio ieri, mentre era in corso il sopralluogo di politici e ambientalisti sui siti di smaltimento realizzati a ridosso dell’Asi. Ben 14, su un’area di appena tre chilometri quadrati. Un viaggio nel cuore dell’ecomafia, ora meglio conosciuta come la terra dei fuochi, dove le discariche dismesse continuano a fumare a causa delle reazioni chimiche dei rifiuti tossici. E sembra chiaro che il fenomeno degli sversamenti illegali non accenni a smettere. «Qui non esiste alcun tipo di controllo, e lungo la strada continuano a sversare e incendiare rifiuti», dice il presidente della commissione regionale Ecomafie e bonifiche, Antonio Amato, riferendosi agli intrusi sorpresi davanti alla Resit e alla cosiddetta «strada della vergogna», così come la definisce da anni Legambiente. «Ci sono decine di letti di combustione, con stracci e copertoni, già pronti ad essere incendiati – dice Raffaele Del Giudice, direttore Legambiente Campania –. Lamiere di amianto già coperte da teloni dai tempi della protesta di Taverna del Re, ma mai rimosse. Bisogna intervenire subito prima che la prossima estate si ripetano i roghi in cui prendono fuoco quintali e quintali di rifiuti». La diossina è di casa qua. L’ultimo rogo la scorsa estate, dopo il megaincendio del 2007 nella Resit. Bombe ecologiche che devastano l’ambiente nell’area in cui il tecnico incaricato dalla Procura ha annunciato un’apocalisse per il 2064 e denunciato l’inquinamento delle falde acquifere. Ieri il monnezza tour ha fatto tappa a cava Zeta, cava Giuliani, Novambiente, Tre Ponti-Masseria del Pozzo. Poi, dalle prime piattaforme di ecoballe del 2002 fino all’ex Cdr, davanti al quale stazionavano decine di mezzi, in attesa di scaricare. Tutto questo a due passi dall’inferno di Taverna del Re, dove sono accatastate sei milioni di ecoballe che, secondo il nuovo piano rifiuti, dovrebbero essere smaltite con un inceneritore realizzato in loco. «È un enorme inferno di munnezza che fuma ed emette miasmi nauseabondi - continua Amato –. Altro che primavera, in questa terra si compie un perenne e cupo autunno dei diritti. E senza che ci sia una pattuglia, un presidio. I militari sono dentro al Cdr, invece». Un panorama scioccante, in pratica. Nel mirino la mancanza di controlli, ma anche la mancata messa in sicurezza. «I teloni sono strappati, dal terriccio di copertura spuntano ancora i rifiuti e le frane sono un rischio quotidiano - indica Del Giudice nei pressi di cava Zeta -. Senza contare che la captazione del biogas a Masseria del Pozzo segue tempi biblici». Lo spettacolo è raccapricciante: fumarole di braci perenni, teloni di copertura divelti, collassi e frane di terreno, biogas che fuoriesce come gaiser dal terreno. E tutt’intorno campi agricoli, ricchi e, miracolosamente, ancora fertili. «Si deve pensare agli interventi di bonifica - continua Amato - Quando avremo un cronoprogramma serio, con l’individuazione reale dei tempi necessari? E quante risorse sono realmente disponibili?». Amato e Del Giudice preannunciano «una congiunta richiesta urgente al prefetto di Napoli, all’assessore regionale Romano e al sindaco Pianese perché vengano rimossi tutti quei rifiuti, innanzitutto lamiere di amianto facilmente riconoscibili?».