A mezza strada tra politica e clan custodiva i segreti dell’affare rifiuti

Fu ammazzato sotto casa nel 2008
aveva iniziato a raccontare alla Dda complicità, coperture e collusioni
29 marzo 2011 - Rosaria Capacchione
Fonte: Il Mattino

Lui lo sapeva che sarebbe successo. Lo sapeva da quando aveva deciso di raccontare la sua verità, sperando di convincere i magistrati che lui no, lui non era un camorrista. Lo sapeva da quando avevano rubato il camion, nel deposito. Da quando si era accorto che lo seguivano. Da quando avevano sparato contro il portone di casa, appena si era saputo che aveva parlato e aveva accusato. Michele Orsi era uno zombie, e molto spaventato. E lo era ancora di più da quando Peppe Setola aveva obbedito all’ordine di dichiarare guerra allo Stato mettendosi alla guida di un manipolo di killer pazzi ed esaltati, imbottiti di cocaina. Quel giorno, una domenica di tarda primavera calda quanto un’estate torrida, si arrischiò a uscire da solo e a percorrere quei cinquanta metri che separavano la sua casa, e la sua famiglia, dal Roxy bar. Era il primo di giugno del 2008 e non ancora avevano sparato a Casal di Principe, non ancora avevano spianato le armi nel paesi di Schiavone e Bidognetti, dove nulla poteva succedere senza il loro consenso. Era uscito per andare a comprare la Coca Cola alla figlia più piccola, e invece aveva incrociato gli assassini. Con la sua morte si capì che Setola non era un’avanguardia scissionista ma lo strumento di una strategia di più ampia portata. E che i registi erano i capi casalesi. Michele Orsi, l’uomo della Ecoquattro, l’imprenditore a mezza strada tra la camorra, la politica e gli affari, morì così: con un recente passato trascorso in carcere, un’accusa per fatti di mafia, un taccuino fitto di appunti e di cose che aveva appena iniziato a raccontare. Lui, e il fratello Sergio, avevano partecipato all’affare dei rifiuti entrando dalla porta principale, aggiudicandosi un appalto costruito apposta per loro dal consorzio di bacino Ce4. Loro, nati costruttori, raccoglievano immondizia. Ma i soldi, i soldi veri, erano quelli che arrivavano dalle discariche che gestivano a Santa Maria la Fossa. E quelli che ipotecavano raccogliendo, in tempi di emergenza - l’eterna emergenza - la spazzatura napoletana. Prima di cadere in disgrazia e di essere arrestato, Michele Orsi aveva frequentato i politici casertani, da Mario Landolfi a Nicola Cosentino, che per questa frequentazione si trova a giudizio per concorso esterno al clan dei Casalesi, passando poi dall’altra parte, con i Ds, iscrivendosi pure alla sezione di Orta di Atella per due anni filati. Ma quando era un uomo ricco e potente, aveva dispensato favori e posti di lavoro a chiunque (che contava) glieli chiedesse. Aveva scalzato il monopolio di Nicola Ferraro, pure lui imprenditore dei rifiuti, casalese come lui, potente quanto lui, la fedina penale macchiata - pure lui - da accuse di camorra. E lo aveva fatto dandogli lo sfratto dal Ce4, con quella gara «cucita su misura» che aveva segnato il cambio di gestione dell’impero fondato sull’immondizia. I due si odiavano. Un odio profondissimo. Oreste Spagnuolo, che prima di pentirsi aveva condiviso un pezzo di strada con Giuseppe Setola, ai magistrati della Dda ha raccontato di una cena alla quale avevano partecipato sia Setola, sia Luigi Ferraro, fratello di Nicola: «Gigino parlava per conto del fratello quando si incontrava con Setola. Peppe Setola disse testualmente: ”Digli a tuo fratello di non preoccuparsi perché fra due giorni ti facciamo un bel regalo”. Gigino Fucone disse a Setola che Orsi aveva reso dichiarazioni contro il fratello di Ferraro Luigi». Sarà una coincidenza, ma due giorni dopo Michele Orsi fu ammazzato. Agghiacciante la ricostruzione dell’agguato fatta attraverso le parole di Oreste Spagnuolo. Il commando era partito da Varcaturo intorno alle 9,30 del mattino, quando era arrivata la prima telefonata di Mario Di Puorto, incaricato di seguire Orsi per chiamare la battuta. Nell’Alfa 147 c’erano Setola, Letizia e Alessandro Cirillo. Oreste Spagnuolo era rimasto a casa, come aveva deciso il capo. Arrivarono a Casale in sette minuti, poi si appostarono in una casa poco lontana da quella di Michele Orsi. Quando Mario Di Puorto telefonò per la seconda volta, arrivarono in un minuto al Roxy bar: «Dall’auto - racconta Spagnuolo - scesero Setola e Letizia mentre Cirillo attendeva alla guida. Setola entrò nel bar e sparò subito ad Orsi, che cercò di scappare. Ma fuori c’era Letizia che gli sparò avendolo di fronte, colpendolo alla testa con una 357 Phyton. Letizia prima di partire, si mise una parrucca e gli occhiali, Setola agì senza camuffamenti». Spagnuolo non aveva assistito all’omicidio, ma aveva ascoltato le parole di chi aveva sparato e che aveva visto partire da casa a bordo della 147. Emilio Di Caterino, un altro collaboratore di giustizia, ha aggiunto: «L’omicidio è stato deciso da Setola. Michele Orsi doveva morire perché aveva iniziato a rendere dichiarazioni collaborative con la giustizia nella materia dei rifiuti». Se avesse continuato, chissà quante altre, e importantissime, teste sarebbero saltate.

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