Delitti Orsi, ergastolo a Setola e quattro killer
Tutto scritto, tutto accertato, tutto inequivocabilmente e tragicamente vero, così come lo avevano ricostruito i pentiti - autori pure loro del delitto - e, prim’ancora, la logica degli investigatori. Eccoli là, gli assassini di Michele Orsi, primo morto eccellente della strategia stragista del clan dei Casalesi. Ecco Giuseppe Setola, che si spacciava per cieco e che sparava senza sbagliare. E che alla vigilia dell’ennesima condanna al carcere a vita, non perde la baldanza e l’occasione per sparlare del suo accusatore, Oreste Spagnuolo, e inviargli obliqui messaggi di morte. Ecco i suoi fedeli luogotenenti, Alessandro Cirillo e Giovanni Letizia, che si macchiò le scarpe con il sangue di Orsi e che non volle disfarsene perché erano nuove e costose. E i suoi guardaspalle, Massimo Alfiero e Mario Di Puorto e Domenico Luongo, giovanissimi e con la faccia da bravi ragazzi, che sembrano fuori posto sul tavolaccio e poi aggrappati alle sbarre. Eccoli, alcuni in collegamento a distanza con l’aula della Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere, due soli nelle gabbie, quando il presidente Elisabetta Garzo, con la collega Susi D’Amore, alle 19 e 40 chiude la camera di consiglio e legge la sentenza. Che è quella scontata quando si uccide così, con tanto piombo e per vendetta di mafia. Ergastolo, cinque volte ergastolo ha detto il giudice Garzo. Più mite la condanna per Luongo, 23 anni. E due anni, invece dei sette chiesti dal pm Alessandro Milita - che si è visto accogliere l’intera tesi accusatoria - per Gaetano Simeone, il ragazzo del Roxy bar che abbassò la saracinesca e andò via prima che in corso Dante Alighieri arrivassero i carabinieri e la polizia. Il corpo di Michele Orsi era là, accanto al marciapiede, quasi lo scavalcò per scappare più in fretta. In aula cala il silenzio, l’unico che se l’è cavata non c’è, ma ancora risuonano le grottesche e lugubri parole di Peppe Setola, pronunciate prima che la Corte si ritirasse per decidere: «Spagnuolo merita la morte, prima di pentirsi già faceva la spia ai carabinieri. Aveva ragione Alessandro Letizia, che voleva uccidergli la moglie e figli». E poi, la dichiarazione di innocenza, con il solito ghigno beffardo stampato in volto e che neppure due anni di carcere duro hanno smorzato: «Michele Orsi era un mio amico fraterno, non l’ho ucciso io». Perché lui, ha detto, non ha mai ucciso nessuno, solo che gli piacciono le armi e le portava sempre con sé. Chissà se ha pensato davvero che qualcuno l’avrebbe creduto.