Discarica a Chiaiano, il pentito accusa «Già nel 1995 Mallardo ci parlò della Ibi»
Il maelstrom è a mezza strada tra gli uffici del Commissariato di governo e la prefettura. Ingoia informazioni, ne restituisce all’esterno solo una frazione. Ciò che fuoriesce dal gorgo è una parte, spacciata per il tutto, che racconta una storia completamente diversa da quella reale. Storia di omissioni, collusioni, coperture istituzionali e negligenze che si sta disvelando solo in queste ore, pezzetto dopo pezzetto. Partiamo dalla fine, dall’inchiesta sulla gestione della discarica di Chiaiano, aggiudicata in maniera anomala alla Ibi Idroimpianti della famiglia D’Amico. Ebbene, già nel 2003 erano noti i rapporti della società con la Pts, impresa siciliana riconducibile ad Antonino Spica e Pietro Ciulla «entrambi legati - è scritto nell’interdittiva antimafia del dicembre 2010 - ad ambienti e società ritenute contigue alla criminalità organizzata». La Pts si era aggiudicata in subappalto i lavori per la contestatissima discarica siciliana di Bellolampo, la stessa sotto il quale è stato trovato un invaso colmo di percolato non smaltito. La parte eccedente era finita nell’impianto di Lamezia Terme, controllato dalla ’ndrangheta. Ragione, quest’ultima, che aveva indotto Corrado Catenacci, ex commissario straordinario per l’emergenza rifiuti in Campania, a non conferire in Calabria il percolato prodotto dalle discariche di Napoli e Caserta e finito direttamente nei depuratori (non funzionanti) di Cuma, Villa Literno, Caivano. Non basta. Noti, negli ambienti investigativi, anche i rapporti della Edilcar dei Caradente Tartaglia con esponenti del clan Mallardo. Eppure, neanche quella società, subappaltatrice della Ibi, era nella lista nera delle imprese inquinate o infiltrabili. I ritardi, o forse le omissioni o lo scarso spirito di iniziativa dei funzionari addetti alle verifiche antimafia sono oggetto dell’attività d’indagine della Dda di Napoli. I pm Antonello Ardituro e Marco Del Gaudio hanno fatto acquisire in prefettura i fascicoli relativi alle due ditte. In Procura fanno notare che qualcosa di analogo si è verificato anche in provincia di Caserta, dove sono stati autorizzati contratti di fornitura con ditte riferibili direttamente al clan dei Casalesi, soprattutto alla famiglia Zagaria. È il caso della Fontana e della Euroscavi, che hanno lavorato per tutto il periodo dell’emergenza pur in assenza dei requisiti antimafia. Lo stop non è mai arrivato. Le informazioni sinora raccolte dagli investigatori del Noe che stanno lavorando sulle modalità di gestione della discarica di Chiaiano sono state recepite dal Tar Campania, che ha acquisito pure l’informativa della Dda di Napoli sulla scorta della quale lunedì scorso sono state eseguite una trentina di perquisizioni. Per la valutazione, su ricorso della Ibi, bisognerà aspettare la prossima settimana. Nell’annotazione sono riportate, in forma sintetica, le dichiarazioni rese da Gaetano Vassallo, imprenditore dei rifiuti che da quasi tre anni collabora con la giustizia, sia sulla Ibi Idroimpianti (e sul suo amministratore Antonio D’Amico), sia su Giuseppe Caradente Tartaglia. Dice Vassallo: «La Ibi già nel 1995 è stata indicata da Felice Mallardo, capo del clan Mallardo, come ditta di soggetti affiliati al clan». Sostiene anche di aver constatato personalmente che Antonio D’Amico e Giuseppe Caradente erano in rapporti con Pasquale Zagaria. E che i lavori per la realizzazione di diverse discariche nella provincia di Napoli sono stati «volutamente veicolati dal clan Mallardo per essere eseguiti dalla Ibi Idroimpianti e dalle ditte riconducibili alla famiglia Caradente Tartaglia». L’imposizione di ditte affiliate ai clan per il noleggio dei mezzi di trasporto e di movimento terra (specificità di D’Amico e di Caradente) sarebbe stato «il mezzo utilizzato per ottenere ricavi a favore delle organizazzioni camorristiche». Un doppio guadagno: attraverso i lavori di sbancamento e movimento terra, con successiva vendita del materiale estratto o con il suo riutilizzo, nonostante l’inidoneità, alla messa in sicurezza delle discariche. Le quali, dopo il trattamento, erano insicure quanto e più di prima.