Scandalo espropri, i soldi dello stato finiscono ai bpss
Prestanome dietro i titolari delle discariche
Diciassette anni di emergenza rifiuti, ma i dodici commissari che si sono succeduti non hanno trovato il tempo per completare gli espropri facendo un grande regalo ai boss e un un enorme danno allo Stato. Sono stati centinaia e centinaia i proprietari costretti a cedere i terreni per permettere la costruzione degli impianti: stir, termovalorizzatore, siti di stoccaggio, discariche. Espropriati, ma solo sulla carta: le procedure avviate d’urgenza non sono mai state ultimate. E ora, in teoria, i proprietari potrebbero decidere di chiedere non solo la restituzione del bene, ma anche il ripristino dello stato dei luoghi. Dopo cinque anni, infatti, se le pratiche non sono completate il percorso viene interrotto e l'amministrazione è costretta a pagare non più il prezzo stabilito con l’esproprio, ma una cifra enormemente superiore. Gli aggravi di spesa sono esponenziali per lo Stato e i vantaggi enormi per chi possiede i terreni. E spesso, lo dimostrano le inchieste giudiziarie, si tratta di malavitosi. Già nel 2005 alla commissione ecomafie presieduta da Paolo Russo il giudice Nunzio Fragliasso raccontò come molte aree utilizzate come sito di stoccaggio avessero subito dei cambi di mano proprio prima di essere prese in affittto o di essere requisite dallo Stato. E spesso i terreni erano finiti in mano di fiancheggiatori dei clan. In un caso, quello del sito di Capaccio, il valore era salito di ventiquattro volte in pochi giorni. Un caso per tutti: quello della discarica di Parapoti che non apparteneva, fortunatamente, a dei boss, ma ai soci di una cooperativa. La procedura di esproprio dei terreni fu avviata nel marzo dell’88 per una cifra pari agli attuali 250 mila euro, ma non fu mai conclusa: quasi venti anni dopo la procedura è stata chiusa solo grazie a una sentenza del giudice amministrativo per una cifra cinque volte superiore. Ma poteva anche andare molto peggio. Per lo Stato, naturalmente. D’altra parte ritrovare gli incartamenti nel chilometro di scaffali dove, tra la sede di via Medina e quella della Regione, sono conservati i fascicoli dell'emergenza rifiuti, è un impresa difficilissima. Una caccia senza speranza. Lo sa bene il liquidatore dell'ex commissariato alle bonifiche, Mario De Biase, che proprio in questi giorni si è trovato ad affrontare una complessa vicenda legale. La Sogin, azienda che monitora i siti nucleari, nel 2000 aveva avuto dall'allora commissario per l'emergenza rifiuti, l'incarico di controllare le aree dove dovevano sorgere quelli che allora si chiamavano Cdr e poi sono diventati Stir. Costo: 15 milioni. Ma dopo un'anticipazione di 3 milioni l'impresa non è stata pagata. Ha fatto ricorso al tribunale e qualche mese fa il giudice ha condannato l'amministrazione al pagamento dei 12 milioni restanti. Ma nel frattempo il commissariato era stato sdoppiato. Nel 2004, infatti, Bassolino cedette i rifiuti a Catenacci e conservò le bonifiche. Ma nel passaggio tutta la documentazione sui rifiuti rimase al nuovo commissario. E tra i fascicoli c'era anche quello riguardante la Sogin. Che fine abbia fatto non lo sa nessuno. Nemmeno il giudice al quale il commissariato non ha fornito materiale sufficiente. Di qui la condanna: a pagare dovranno ora essere tutte e due le strutture. Che nel frattempo sono morte e passate alla fase liquidatoria. L'unica fortuna dei liquidatori al lavoro è che le contabilità sono state dichiarate impignorabili. Una fortuna non condivisa ovviamente dai creditori. Non a caso sono 900 le richieste di saldo arrivate alla ex struttura stralcio che il mese scorso è stata ufficialmente chiusa: al lavoro restano, però, quaranta persone alle dipendenze del vice prefetto Gianfelice Bellesini nominato dal capo della protezione civile, Franco Gabrielli. Come faranno a pagare da una contabilità azzerata è un mistero che nessuno ha finora nemmeno provato a spiegare.