Rifiuti, politica, gioco e appalti così la camorra diventa impresa
Rifiuti, gioco, appalti. Collegato a questo segmento, anche il controllo del voto finalizzato all’infiltrazione nelle pubbliche amministrazioni. La camorra cambia faccia, uccide di meno e investe di più, caratterizzandosi come organizzazione criminale sempre più specializzata nelle operazioni economiche e finanziarie. Per questo, più sfuggente e pericolosa, nonostante l’opera di contrasto degli organismi investigativi e giudiziari. È questa la radiografia della Campania fatta dalla Direzione nazionale antimafia, che ieri ha reso noto il suo rapporto annuale sulle mafie italiane e su quelle straniere che operano sul territorio nazionale. La camorra si conferma organizzazione bifronte, con una struttura molto frazionata e parcellizzata sul territorio metropolitano e più coesa in periferia, anche se la frammentazione si sta estendendo anche nell’hinterland. La moltiplicazione delle «variegate aggregazioni delinquenziali» non si sta rivelando, però, una debolezza: la miriade di centri decisionali è «in grado di dare forma a strategie criminali più o meno complesse». La fluidità, infatti, permette il controllo capillare di ambiti territoriali su cui insistono micro insediamenti produttivi che «vengono inevitabilmente e progressivamente condizionati». Se la ’ndrangheta si dimostra insidiosa e ramificata, organizzazione potentissima con forti addentellati in tutto il pianeta e leader nel settore del narcotraffico, la camorra - soprattutto quella casalese - non è da meno. La relazione, che per quanto riguarda la Campania è affidata al sostituto procuratore antimafia Filippo Beatrice, specifica infatti che «l’organizzazione camorristica che si è affermata nel panorama criminale nazionale per la sua capacità di infiltrazione nei mercati legali piegandone le regole e gli equilibri alle proprie finalità è quella dei Casalesi». A dimostrazione, «l’evidente coinvolgimento di esponenti politici (anche di rango nazionale, ruotanti intorno al settore degli appalti ed al ciclo dei rifiuti in Campania, il cui mancato governo si è trasformato in una emergenza di proporzioni spaventose e dai contorni sempre più inquietanti». Due nomi stanno là a esemplificare il ruolo di crocevia di questo clan tra sistema criminale, mondo imprenditoriale e politica: Nicola Ferraro, imprenditore del settore dei rifiuti ed ex consigliere regionale dell’Udeur, in carcere dalla scorsa estate, e Nicola Cosentino, coordinatore regionale Pdl ed ex sottosegretario all’Economia, nei confronti del quale inizia oggi il processo per concorso esterno nell’associazione mafiosa. Stessa accusa contestata a Ferraro. Un intero capitolo della corposa relazione - oltre mille pagine corredate da grafici e tabelle riassuntive - è dedicato al gioco, anche legale, per i notevoli introiti che assicura a fronte di rischi giudiziari relativamente contenuti. Scrive la Dna: «È la nuova frontiera della criminalità organizzata di stampo mafioso». Leader del settore sono, ancora una volta, i Casalesi. A titolo esemplificativo viene citata, infatti, l’operazione del luglio del 2009 che aveva portato all’arresto di 44 persone appartenenti al clan e dislocate tra Caserta e Modena. Tra queste la moglie e la figlia di Raffaele Diana, a lungo capozona per la provincia di Modena della famiglia Schiavone. Ma l’indagine chiave era stata quella dell’anno precedente, che aveva coinvolto i fratelli Grasso (monopolisti delle slot Sisal) e la famiglia di Antonio Iovine, ’o ninno, il capo casalese arrestato il 17 novembre scorso dopo quindici anni di latitanza. Poi gli appalti. A proposito della ricostruzione in Abruzzo, la Direzione nazionale antimafia ritiene che «nel giro degli appalti e subappalti per la ricostruzione la camorra appare più invasiva delle altre associazioni criminali di stampo mafioso. Da una prima ricognizione della situazione, attraverso l’esame della copiosa documentazione fatta pervenire dalla locale Prefettura alla Procura dell’Aquila ed alla Dna e da quanto hanno trasmesso gli uffici di alcune Procure distrettuali, essa è apparsa subito di estrema gravità per quanto riguarda le infiltrazioni mafiose nel tessuto della ricostruzione». Situazione che si è aggravata nel 2010: «Gli appalti vengono gestiti dal Commissario del Governo, nella persona del presidente della Regione Abruzzo, o dai privati direttamente, con obbligo di informarne il Comune di residenza per ottenere le sovvenzioni previste dalla legge», scrive il magistrato relatore Olga Capasso: «Un dato inquietante è emerso dall’esame approfondito delle società collegate alla criminalità organizzata che hanno vinto gli appalti o ottenuto subappalti, autorizzati o meno. Dai vari intrecci societari e raggruppamenti costituitisi per aggiudicarsi i lavori in Abruzzo si è potuto constatare che le diverse organizzazioni criminali non sembra si siano spartiti i singoli affari, ma compaiono, attraverso un gioco ad incastro, cointeressate allo stesso lavoro. A titolo di esempio una di queste società risulta consociata con altra società attraverso la quale, risalendo la catena di imprese partecipate, si arriva alla ’ndrangheta, alla Sacra Corona Unita e al mandamento di San Lorenzo di Cosa Nostra». Se quell’impresa non fosse stata estromessa dai lavori in Abruzzo, i guadagni sarebbero stati suddivisi tra criminalità di diverse regioni ma unite nella gestione degli affari.