"Ho forzato la legge per colpa dell'emergenza"
Lettere e relazioni di servizio, note e fonogrammi, ma anche sintesi di tavole rotonde. Sono questi gli elementi da cui partono gli interrogatori degli indagati coinvolti nell’ultima inchiesta in materia di emergenza ambientale. Non solo intercettazioni, dunque, ma anche uno scenario che vede pubblico e privato, funzionari di commissariato e della regione, ma anche gestori di impianti di depurazione e di aziende private calate nel «Vietnam» campano della grande crisi. Tutti coinvolti in un ponderoso atto d’accusa, che fa ora registrare interrogatori di parte e contromosse difensive. Non si poteva rischiare l’inquinamento delle falde acquifere, dei campi, del territorio agricolo. E - a sentire la prima ricostruzione della difesa - non si poteva attendere i tempi di una burocrazia incapace di stare al passo dei tempi. Tempi di emergenza, che hanno spinto in alcuni casi a forzare la mano. Davanti a tre giudici e a tre pubblici ministeri, è questa la ricostruzione di Generoso Schiavone, uno dei personaggi centrali dell’inchiesta sul traffico illecito di percolato, culminata lo scorso venerdì in arresti, perquisizioni e avvisi di garanzia. In cella dallo scorso venerdì, difeso dai penalisti Giuseppe Caruso e Vito Mennella, parla il responsabile del ciclo delle acque per la Regione Campania. Era il personaggio chiave, nella gestione dell’essenza della spazzatura conferita in discarica, l’ormai famigerato percolato, che qui in Campania avrebbe raggiunto valori di inquinamento e di radioattività imparagonabili rispetto a quanto avviene in altri sistemi di raccolta dei rifiuti. Inchiesta condotta dal procuratore aggiunto Aldo De Chiara, dai pm Giuseppe Noviello e Paolo Sirleo. Traffico di rifiuti, ma anche diverse ipotesi di falso, sullo sfondo l’accusa di disastro ambientale. Per anni - dal 2006 al 2009 - il percolato sarebbe stato gettato in mare, senza alcuna bonifica reale, visto il funzionamento dei depuratori della Campania. Un servizio a singhiozzo, tanti tavoli di lavoro, per accordi che avrebbero violato sistematicamente leggi, codici, parametri in materia di gestione del percolato. In sintesi, il dirigente regionale ha invece sostenuto che «lo sversamento del percolato nei depuratori (da cui poi i liquidi tossici finivano in mare senza alcun trattamento) è stata una scelta obbligata in un momento in cui le discariche erano in tilt per le enormi quantità di rifiuti e non si sapeva cosa fare delle tonnellate di percolato prodotte. Piuttosto che rischiare l’inquinamento di campi e falde acquifere - è la linea difensiva dell’ingegner Schiavone - si è preferito portare i liquami ai depuratori», che a giudizio del dirigente arrestato avevano comunque la capacità di smaltirli. E sugli sversamenti in mare? Non avvenivano ogni giorno e non è dimostrato - nella ricostruzione della difesa - che sempre i limiti imposti dalla legge venissero superati. Insomma, scelte e strategie adottate sempre e comunque in tempi di emergenza. Tutt’altro ragionamento, quello dei pm, che ricordano la mole di denaro piovuta in Campania sotto l’ombrello dell’emergenza, che andava gestita, senza sollevare scandali o ulteriori problemi. In attesa di una probabile sospensione del dirigente, gli avvocati di Schiavone hanno depositato una richiesta di revoca della misura cautelare in carcere, nel corso di una settimana destinata quasi interamente agli interrogatori. Tocca anche al prefetto Corrado Catenacci (difeso dal penalista Ettore Stravino); e all’ex numero due della Protezione civile Marta De Gennaro, (difesa dal penalista Paolo Giammarioli), che risulta in pensione da qualche mese, una condizione che potrebbe quindi far cadere gli arresti domiciliari che le sono stati applicati venerdì scorso. Ieri è stato ascoltato Gaetano De Bari (difeso dall’avvocato Massimo Krogh), ex amministratore della società Hydrogest da cui dipendeva il depuratore di Cuma, oggi tocca a De Biasio (difeso dall’avvocato De Stavola).