Percolato, i segreti della palude: parlano Schiavone e De Bari

Iniziano oggi gli interrogatori dei personaggi-chiave accusati di aver gestito lo smaltimento
31 gennaio 2011
Fonte: Il Mattino

Altro che macchina del fango. Lo scandalo del percolato finito in mare ha i suoi laghi di fango, di putridume che viene nascosto, ma che evapora nell’aria e uccide corpi e coscienze. Ogni discarica, ogni Stir non è adeguatamente attrezzato per smaltire la spremuta di monnezza che è lasciata all’aria aperta a suppurare, a fermentare, a inquinare, ad avvelenare. Cava Riconta, a Villaricca, è sono una delle cattedrali del male, un girore infernale nel cuore di quella che un tempo era la Campania Felix. Quel lago che rischiava di straripare come il Vajont (secondo le intercettazioni note da anni) è un blob fetente, nel quale ribollono sostanze tossiche, la peste del XXI secolo. Un grigio bluastro, circondato da una schiuma putrida. Un suono sinistro, inquietante, la voce della morte. Come la Solfatara, ma è zolfo naturale, è un miscuglio immondo di sostanze che manderebbero in tilt qualunque strumento di analisi. Da quando il video realizzato da «Mattino» è andato in Rete, sul nostro sito e su YouTube, lo scandalo è sotto gli occhi di tutti, con commenti spaventati dei lettori e dei navigatori. La domanda è: come è potuto accadere? Una responsabilità diffusa nella quale gli investigatori stanno affondando le mani. Ciò che ne viene fuori è la sottovalutazione totale dei danni ambientali. E la paura è che di cave come Riconta, ai margini di un’area, quella di via Ripuaria, distrutta perché apparentemente lontana dagli occhi, ce ne siano tante. In quella corona di spine che è diventata la nostra Provincia e la nostra Regione. Tante, nascoste o rese invisibile, perché recintate. Ma che prima o poi vengono svelate, perché le vie del percolato sono infinite. Com’è potuto accadere è raccontato negli atti d’indagine dei pm Noviello e Sirleo, nelle quasi mille pagine dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dai giudici Bruno D’Urso, Francesco Chiaromonte e Luigi Giordano il cui contenuto oggi sarà contestato, nell’interrogatorio di garanzia, a due personaggi-chiave dell’inchiesta: Gaetano De Bari, ex amministratore della Hydrogest (ma di fatto gestore attuale occulto dell’impianto, come hanno rilevato i carabinieri del Noe) e l’ingegnere Generoso Schiavone, il cui ruolo nella gestione del traffico illecito di percolato - scrivono i magistrati - è apicale e fondamentale, il «deus ex machina dell’operazione». Usava il telefono in maniera disinvolta: per ordinare, minacciare, imporre alla controparte l’accettazione di carichi di veleni da smaltire obbligatoriamente in impianti non idonei, a pretendere corrispettivi per i collaboratori indispensabili al funzionamento della macchina dello sversamento illegale. Dopo il 2007, epoca alla quale risalgono gli accertamenti investigativi che lo riguardano, è stato spostato presso la commissione regionale di controllo, che ha i suoi uffici a Salerno. Ma, scrivono le toghe, lo sversamento criminale del percolato in siti inidonei, e quindi nelle acque pubbliche, è continuato. Ad opera di chi? Con quali complicità? E, soprattutto, dove è andato a finire? La Procura sul punto ha ordinato altre indagini. I gip collegiali ne prendono atto e fanno propria la richiesta di accertamenti supplementari che, si presume, sono già in corso. Non escludono, gli inquirenti, che nel corso degli interrogatori, a partire da oggi, qualcuno degli indagati possa accelerare i tempi e fornire indicazioni utili a ricostruire per intero la mappa dei veleni anche senza la consulenza tecnica dei periti.

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