Mamme, No global, ultrà: divisi sulle barricate

Chiaiano tra dialogo e bombe carta: tutte le anime della protesta, dagli irriducibili ai possibilisti
27 maggio 2008 - Pietro Treccagnoli

Sul Titanic di Chiaiano si sono imbarcati in tanti. Un equipaggio multiforme, baraccone, parolaio, pacifista, violento, sospetto, materno, prudente e, tirate le somme, un po’ schizofrenico. Comunque spaccato. Incerto sulla rotta. Quando il ballo sulla tolda dei cassonetti incatenati diventa duro, ballano i duri. Ma il popolo della periferia e della provincia nord è fatto di mamme sull’orlo di una crisi di nervi, sindaci e politici in cerca si un’autorevolezza che non sia quella della piccola casta, di centri sociali, orfani di paternità parlamentari, a caccia di una visibilità offuscata, di un nemico globale e della concertazione antagonista con le forze locali. E ci sono le frange più eterogenee, il mosaico più fluido e meno intercettabile. È un blob che scivola via dalla Cupa del Cane fin giù all’incrocio maledetto con via Santa Maria a Cubito, che per qualcuno è Guernica, per altri il Piave. Per la maggioranza, la resistenza arriva fin dove è possibile. Nessuno può assumersi la responsabilità dell’innocenza violata, delle «mazzate per le mazzate». A cominciare dal partito della trattativa. A capeggiarlo sono i sindaci, quello di Marano, Salvatore Perrotta (Pd, ex ds) e quello di Mugnano (Pd, ex Margherita), il presidente della Municipalità, Carmine Malinconcio (Rifondazione), ma con qualche sfumatura più rigorosa. E anche molti amministratori, con una forte presenza di An, richiamati all’ordine dai funzionari centrali: non si possono avere i piedi in due scarpe, con il governo e con la piazza in rivolta, con lo Stato e contro lo Stato. Ma la vera forza del partito del dialogo, del «se ci sono le garanzie si fa», sono soprattutto le mamme (che stanno richiamando i figli all’ordine) e chi vive in questo incrocio dei venti diviso tra Marano, Mugnano e Chiaiano, con i commercianti in prima fila: da giorni sono costretti a restare con le serrande abbassate. È la gente perbene, piccolo-borghese: sa di aver paura e che è anche legittimo averne. In molti si sono spinti molto oltre le proprie abitudini. Sanno che quando arrivano i manganelli i fetenti riescono comunque a scappottarla e chi le busca sono i neofiti della resistenza, coloro che ignorano dove e come si scappa. Più facilmente individuabile è il partito della lotta. Molto politicizzato, riconoscibile anche dal look guevarista, giovani guerrieri a volte spaventati. A Chiaiano sono saliti in tanti da Officina 99 a Ska, da Tempo Rosso di Benevento al Carc di Quarto, tutti riuniti dallo slogan «No ai rifiuti», oltre ai locali di Insurgencia, i più intransigenti, perché hanno bisogno di legittimarsi tra la propria gente. La loro è una battaglia politica, soprattutto contro la destra nuovamente al potere. È la frazione organica meno stabilizzata. Come spesso accade nell’estremismo di sinistra, in quattro hanno otto posizioni. E purtroppo c’è anche qualcuno disposto a lanciare una molotov, mentre in molti, che si tengono stretto alla scialuppa della responsabilità, sono attrezzati a spegnerle. Resta il gruppo più misterioso, sul quale indaga anche la Dda. La punta dell’iceberg (non sempre visibile) è quella dei piccoli clan della periferia, personaggi ritenuti vicini ai Lo Russo. Attorno ci sono i borderline: balordi e marginali dell’area nord. Girano in motorino, in due senza casco, attratti soprattutto dalle telecamere, dalle dirette tv. I rondò, più che ronde, servono per farsi vedere in tv. È il loro «Grande fratello». In questa area, sempre pronta a menare le mani ci sono gli immancabili ultrà che identificano la polizia come un nemico, «il nemico», soprattutto ora che il campionato è finito (in qualche modo devono impegnare la domenica).

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