Il gip: «Subappalti milionari senza certificati antimafia»
I contatti con il clan Sarno
C’è una talpa nella storia degli assalti ai mezzi della raccolta rifiuti. Una voce, un soggetto non ancora identificato, che conosceva mosse e strategie della Procura, tanto da informare uno dei vertici di Enerambiente sulla possibilità (anzi «la certezza») di intercettazioni telefoniche in corso. È il 12 ottobre scorso, quando un anonimo chiama Fiorito, uno dei leader di Davideco: «C’è questa tarantella... disse vieni sopra ti devo parlare... apri il computer... io, Gaetano, tutti con il telefono sotto controllo». Tanto che Fiorito replica al consiglio dell’interlocutore sull’opportunità di non parlare al telefono: «Guarda com’è scema la gente, il fatto di avere il telefono sotto controllo e la gente non mi chiama più, invece dovrebbero telefonare sempre». Chi è la talpa di Fiorito? Chi conosceva le mosse degli inquirenti? È uno degli interrogativi che restano sullo sfondo dell’inchiesta del pool guidato dall’aggiunto Gianni Melillo. Devastazione, incendio, ipotesi di tentate estorsioni, ma non solo. A leggere l’atto d’accusa firmato dal gip Isabella Iaselli, è chiaro che c’è dell’altro. Appalti, subappalti dietro attentati e pressioni sferrati da Davideco nei confronti del parco mezzi di Enerambiente. Un capitolo a parte, che sfrutta le denunce degli ispettori del lavoro. Ce n’è anche per Enerambiente, vincitrice dell’appalto per coprire una parte della raccolta rifiuti per conto della Asìa. Una fornitura che viene a sua volta subappaltata da Enerambiente ad altre cooperative (tra cui Davideco) - si legge nella denuncia -, «non richiedendo in particolare alcuna preventiva autorizzazione al committente, vale a dire all’Asìa». Somministrazione illecita di manodopera, dunque, anche a dispetto della normativa antimafia. Come a dire: tanti controlli a monte, nei rapporti tra Asìa (azienda partecipata del Comune), mano libera invece nell’assegnare forniture a coop di ogni tipo che riescono poi a tenere in scacco un’intera città. È questo il ragionamento fatto dalla Procura, cinque pm (Santulli, Sepe, Sirleo, Noviello, De Simone), un procuratore aggiunto che punta proprio sui rapporti tra pubblico e privato. Poche parole firmate dal gip Iaselli: «Orbene, le regole da seguire per i lavori in subappalto non erano state rispettate da Enerambiente (e neppure da altra società subappaltatrice) ed in particolare non risultava depositata alla Asìa alcuna documentazione amministrativa relativamente a tali contratti, neppure la certificazione antimafia». È da questo intreccio che Napoli torna a vivere una nuova fase di emergenza, lo scorso autunno. Entrati nel ciclo produttivo - a leggere le conclusioni investigative - quelli delle coop potevano tenere in scacco Enerambiente, ma anche intere fette dell’area metropolitana. Assenteismo, malattie, scioperi improvvisi. Un solo obiettivo, puntare al boccone grosso: ottenere l’assunzione definitiva nell’Asia, cioé nel Comune, settore rifiuti. Un pozzo senza fondo. È quanto emerge da alcune testimonianze acquisite nel corso della prima tranche investigativa condotta dalla Digos del vicequestore Filippo Bonfiglio: agli atti le parole di Stefano Gaviolo e Enrico Prandin (amministratore e responsabile dei controlli di Enerambiente), ma anche di Fortini e Cicatiello, rispettivamente ad e presidente della Asìa. Ecco cosa emerge dalle testimonianze acquisite agli atti: «C’è una convenzione di servizio con le cooperative ”Le nuove frontiere” e ”San Marco”, poi quest’ultima sostituita su indicazione di Corrado Cigliano (capo cantiere della Enerambiente), dalla cooperativa Davideco, il cui rappresentante, Salvatore Fiorito, era già stato collaboratore del legale della coop San Marco». Un intreccio tutto da esplorare. Non mancano tentativi (rimasti velleitari e privi di conseguenze) di contattare esponenti del clan Sarno per ottenere maggiore forza nei confronti di Enerambiente: «Io non è che sono andato a Ponticelli con la bandiera in mano dicendo: scusate, sono Salvatore Fiorito, chi sono i Sarno qua?». C’è anche un accenno al clan dei casalesi: «Se gli danno lavoro, obietta Fiorito, sono amici suoi». Poi, dalle conversazioni tra i soci viene fuori infatti la forte preoccupazione per la fine del rapporto di lavoro con Enerambiente e la mancanza di denaro: «Noi siamo persone che abbiamo famiglia... Io tengo tre figli... Io devo avere i soldi, ho lavorato». Quelli del raid del 23 settembre ritenevano invece di avere più diritto degli altri allo stipendio arretrato: «Io ho bruciato il capannone, ho sfondato i camion e adesso me ne dovrei andare con una mano davanti e una indietro?».